Tutur, dal viadotto al mercato: a Roma il riuso diventa elemento di crescita grazie ad Urbact

In che modo una scuola, un mercato o un viadotto abbandonati possono trasformarsi in leva di sviluppo per un intero quartiere? Il riuso temporaneo di spazi dismessi o sottoutilizzati rappresenta una soluzione al centro del confronto tra esperti e amministratori locali a Roma e nelle altre città europee coinvolte in Tutur, che nella Capitale si avvia verso la conclusione promuovendo modelli e azioni che indicano piste di collaborazioni tra urbanisti, associazioni e residenti del territorio.

Riattivare gli spazi per rilanciare quartieri periferici o in crisi è la traccia seguita da Roma, sulla scorta dell’esperienza di Brema che a partire dal 2009 ha favorito il riutilizzo temporaneo di oltre cinquanta strutture nel centro cittadino attraverso la sua agenzia ZwischenZeitZentrale. Dal Viadotto dei Presidenti al mercato del III Municipio, sono numerose le zone di questo quartiere in cui si stanno attivando meccanismi di collaborazione civica per il riuso temporaneo, anche in collaborazione con studiosi ed esperti stranieri, come nel caso dell’incontro Il mercato al centro (PDF), che vede la collaborazione di Ambasciata olandese, Rome Centre dell’Università dell’Arkansas, LabGov e Associazione Eutropian per la ricerca di soluzioni e modelli condivisi per la rigenerazione delle aree mercatali.

La collaborazione tra amministrazione ed esperti del tema rappresenta uno degli elementi di fondo del progetto Tutur, che si basa su una volontà forte del Comune di puntare sul riuso come chiave per un nuovo sviluppo urbano, come spiega l’assessore alla trasformazione urbana di Roma Capitale Giovanni Caudo

Perché Roma ha scelto di impegnarsi proprio sul tema del riuso temporaneo degli spazi?

CAUDOGiovanni G d0La scelta che abbiamo fatto come amministrazione comunale è di riorientare la trasformazione della città rispetto a nuove espansioni fuori dal piano regolatore in area agricola, abolendo un disegno che abbiamo ereditato dalla precedente amministrazione che occupava circa 2,8 milioni di metri quadri di nuovo suolo da consumare. Abbiamo riorientato gli interessi degli imprenditori nella trasformazione dell’esistente ma, come spesso succede, ciò ha anche a che fare con spazi dismessi o non utilizzati. C’è quindi un periodo tra quando quelle attività vengono a cessare e il momento in cui si può riattivare una nuova funzione in cui l’immobile esiste e quindi si presta ad essere utilizzato prima di diventare oggetto di demolizione o di una trasformazione più radicale.

E questo come può risultare significativo per la città?

Questo tempo intermedio è importante per la città perché può essere un modo per capitalizzare dei beni che già esistono che altrimenti sarebbero sottoutilizzati. Non è facile perché non abbiamo gli strumenti per governare questi spazi intermedi e Tutur riguarda proprio questo: non solo riconoscere l’importanza di riutilizzare gli spazi dismessi ma capire in che modo si può regolamentare questo uso temporaneo, considerando che le amministrazioni comunali non praticano facilmente questo aspetto. Bisogna invece gestire al meglio l’articolazione tra comune e municipi, che ha un forte potenziale nel governare al meglio questi processi al livello più prossimo rispetto al territorio. Il progetto non è solo coerente con le politiche dell’amministrazione ma rappresenta anche un campo di sperimentazione per ricevere indirizzi specifici su come procedere nell’utilizzo di questi spazi.

Come si lega Tutur al resto dell’azione che state portando avanti come amministrazione, sia in collegamento con i municipi che nella rivitalizzazione di spazi nelle periferie?

viadotto2Il tema di fondo è quello della ricapitalizzazione della città esistente. C’è un capitale fisico sottoutilizzato, gli spazi hanno una loro inerzia ma anche un forte potenziale da mettere in moto. Il Comune di Roma, come molti altri comuni, è abituato a dare in uso gli spazi in maniera non temporanea: assegnare un bene per un periodo limitato è stato finora fuori dalle logiche tradizionali della pubblica amministrazione. Il pregiudizio è che se si assegna qualcosa non lo si fa in modo temporaneo ma a vita e ciò frena tutto, anche il fatto che questi spazi possano essere utilizzati dai giovani o per attività che invece possono essere molto proficue. La scommessa è proprio rompere questo pregiudizio.

In che modo?

Alcune attività di analisi realizzate da Tutur si incrociano fortemente con la nostra azione, come la ricognizione di tutti gli spazi inutilizzati nel III Municipio che ha consentito di prendere coscienza di un capitale sottoutilizzato, con ricadute positive nel momento in cui si mette in evidenza il patrimonio che si potrebbe intercettare con questi usi temporanei. Si è attivata anche una progettualità dal basso, con i cittadini coinvolti direttamente in questo processo. Si è verificato in pratica questo incrocio fra domanda e offerta di spazi a disposizione, rendendoli così vivibili e utilizzabili. Questi due elementi caratterizzano anche il fatto che come assessorato abbiamo cambiato nome da urbanistica a trasformazione urbana: gli elementi della ricognizione e della capacità di mettere assieme soggetti e spazio non erano presenti nell’urbanistica dell’espansione ma sono invece il fondamento della trasformazione urbana.

Anche partendo dagli esempi di Brema e di altre città, in che modo tali politiche di riuso possono contribuire alla ripresa economica e allo stesso tempo alla coesione sociale dei quartieri in cui si va ad intervenire?

Questa secondo me dovrebbe essere la ragione di fondo di un migliore utilizzo del capitale fisso. Le domande di spazio sono spesso legate a finalità sociali o a finalità produttive a bassa intensità di investimento che però possono rivelarsi particolarmente interessanti. L’utilizzo degli spazi da parte dei giovani che vogliono avviare attività di innovazione senza però avere un capitale per affittare uno spazio. L’amministrazione che mette a disposizione anche solo temporaneamente tali spazi può già così aiutare l’attività economica, da non pensare solo come un investimento di grandi capitali. Consentire tali opportunità nell’attuale momento di crisi è un grande volano economico.

L’impegno per Urbact, ma anche quello nell’ambito dell’iniziativa Resilient cities della Rockfeller Foundation, stanno sempre più posizionando Roma a livello globale sul tema della trasformazione: su quali sfide vi concentrerete in futuro per caratterizzare ulteriormente la presenza internazionale della città su questi temi?

viadotto3Ci sono delle parole che caratterizzano certe epoche: sostenibilità, riqualificazione e oggi la resilienza urbana. Va colto a mio avviso un concetto concreto che si nasconde dietro queste formule, ovvero la capacità delle città di poter rispondere alle esigenze e alle domande che vengono dai cittadini in questi processi di trasformazione. Il concetto di resilienza, mutuato dalle scienze naturali, applicato a una condizione urbana significa quella capacità di rispondere anche davanti a fenomeni di shock come una crisi economica di riproporre certi livelli di servizio. Fare ad esempio il censimento degli spazi vuoti e considerarli a disposizione per attività economiche è una modalità di applicare in concreto il concetto di resilienza urbana. Ci sono poi traiettorie che riguardano gli aspetti di carattere ambientale o la protezione dei beni storico-archeologici ma, al di là delle parole di moda, credo che l’elemento di fondo che stiamo portando avanti è rendere concreto il tema della trasformazione urbana di renderlo visibile nel contesto urbano.

Con quali azioni?

Ad esempio, in un bando presentato a luglio scorso abbiamo chiesto ai privati quali erano le aree destinate ad attività produttive nel piano regolatore da mettere in trasformazione: se finora non si era registrato interesse ad attivare qualcosa del genere, in tre mesi abbiamo ricevuto 160 proposte da privati. Ciò vuol dire che il segnale è stato colto e l’amministrazione considera la trasformazione urbana un terreno importante per lo sviluppo economico, la coesione sociale, le pratiche di innovazione e anche nei rapporti con la dimensione internazionale.

Oltre a favorire il riuso delle aree, Tutur sta quindi facendo emergere energie vive presenti sul territorio e iniziative di ricerca tese ad un migliore uso di immobili sottoutilizzati o dismessi in città. L’esperienza di CityHound, il primo social network dedicato alla promozione dell’uso temporaneo delle aree in disuso a Roma, sta costituendo una base di dati non solo per Tutur ma più in generale per una strategia di riutilizzo diffusa, come spiega Eliana Saracino dello studio di architetti TSPOON, creatori dell’iniziativa

 

Dal vostro punto di vista, qual è la situazione degli immobili dismessi a Roma e come possono realmente costituire un elemento di ricchezza invece che un problema?

Essendo tanti, capillari, diffusi su tutto il territorio e di vari tagli, dimensioni e tipologie, gli immobili dismessi possono proprio per questo rispondere a un bisogno richiesto dal basso di riattivazione per vari motivi. Offrono una risorsa enorme dal punto di vista della rigenerazione urbana. La difficoltà è sempre quella dell’accesso, ovvero la reale possibilità di poterli prenderli in gestione da parte di cittadini e associazioni.

In che modo la vostra mappatura ha aiutato Tutur a comprendere meglio le esigenze e le criticità del territorio?

Innanzitutto quantitativamente: visualizzarli su una mappa consente di fare delle constatazioni. Il fatto che ci siano molti immobili dismessi è un dato che conosciamo tutti ma visualizzarli consente di capirne l’incidenza e il peso sul territorio. Significa riconoscerli e fare in modo che qualcuno possa avere interessamento per questi spazi, che rappresentano un veicolo di promozione culturale e ambientale. Su quali idee focalizzarsi in futuro per fare del riuso temporaneo una strategia realmente capace di coinvolgere tutte le energie presenti dal basso? La priorità è di sperimentare nuove procedure burocratiche, maggiore elasticità nei processi che consenta di sperimentare il nuovo: non cambierà nulla se si rimane fermi nella condizione tecnica attuale che consente gli affidamenti. Bisogna sfruttare l’occasione del momento di crisi per sperimentare scenari urbani alternativi per la gestione e la cura dei beni comuni

 

Sotto il ViadoTTo – il Report from HexaVideo on Vimeo.

Già al centro di numerose progettualità emerse in passato, il Viadotto dei Presidenti è stato il primo e più visibile esempio di recupero partecipato stimolato da Tutur. Iniziative di rilievo nazionale, come quelle proposte dai giovani architetti del progetto G124 di Renzo Piano, e progetti locali come Greenapsi si sono intersecate in quell’azione di “riciclo dei vuoti urbani” che prevede proprio nel viadotto inutilizzato che collega Talenti al Parco delle Sabine un possibile percorso ciclopedonale. Alessandro Longo di Greenapsi spiega come l’idea della green line può costituire un veicolo di crescita per il quartiere e un modo per agevolare una non sempre facile collaborazione fra i residenti.

Da cosa siete partiti per la riprogettazione del viadotto in green line?

Siamo partiti dalla tesi di laurea che io e Massimiliano Foffo abbiamo fatto nel 2012. Vivendo nel quartiere abbiamo vissuto il viadotto in vari modi: da appassionato di corsa so che è utilizzato per fare footing mentre da bambino nei primi anni ‘90 l’ho visto quando si costruiva e ci andavo in bicicletta. Sono queste le radici dell’idea progettuale che abbiamo sviluppato durante la tesi in cui abbiamo messo a sistema gli elementi che ci venivano dal nostro background sul territorio e dall’uso che viene fatto da diverse tipologie di residenti. Collegando Fidene al Nomentano, il viadotto è un asse strutturante del III Municipio per come l’ho percepito ma divideva in due il territorio, costituendo un’enorme barriera del quartiere. L’idea non è solo quello di riconvertirla in green line ma di connettere lo sviluppo longitudinale trasversalmente ai quartieri così da creare una cesura urbana.

In pratica?

Nella pratica il presidente del Municipio ha preso questa idea come spunto della sua campagna elettorale e ci ha affidato studio di fattibilità del progetto, proseguendo poi la nostra opera di promozione e divulgazione del progetto anche attraverso la nostra associazione Greenapsi. Abbiamo così formalizzato anche il nostro lavoro sul territorio, che è confluito nel processo di sperimentazione di Tutur e in quello che stava realizzando il gruppo G124già attivo sul progetto, incrociando così il lavoro dei due giovani progettisti del gruppo di Renzo Piano al nostro.

In che modo il processo partecipativo riattivato da Tutur potrà stimolare una maggiore attenzione dei residenti nei confronti delle condizioni del quartiere?

Dal rapporto che ho con i soggetti attivi sul territorio, ho raccolto molti pareri discordanti rispetto all’esperienza in sé forse perché non è stata adeguatamente compresa. Tutur in effetti realizza un modello e non sistema in concreto il patrimonio edilizio quindi non è facile far comprendere il funzionamento di questi meccanismi, pur partendo da un forte lavoro precedente svolto da noi sul territorio che ha fatto comprendere qual era la portata anche di piccoli interventi.

Però il fatto stesso che sia stato attivato un percorso condiviso verso la risistemazione del’area rappresenta un fattore inedito

Assolutamente. Questo è un aspetto positivo perché Tutur ha avviato una strada che in precedenza non era mai stata battuta. Dà segnali di speranza ma da lì ad arrivare alla concretizzazione di alcuni progetti ancora ce ne vuole. Abbiamo però individuato modalità di coinvolgimento dei cittadini e abbiamo realizzato Sotto il viadotto con il nostro lavoro quotidiano: è anche normale che il cittadino non sappia comprendere questi processi in così poco tempo, bisogna quindi fargli capire il lavoro che si intende fare.

Dal viadotto al mercato, quali sono gli elementi-chiave che possono trasformare la riconversione di una zona in occasione di crescita del quartiere oltre che di rilancio anche delle competenze di chi sceglie di lavorarci e impegnarsi per esso?

Il progetto del Viadotto è un’occasione non solo per realizzare due chilometri di pista ciclabile ma per guardare in maniera diversa i tessuti più malandati che sono le nostre periferie, cercando di portare qualità di vita e architettonica in zone che si sono espanse in maniera disordinata. A questi si aggiunge il tema della mobilità sostenibile che consente di percepire la periferia in maniera diversa e non solo come uno spazio da attraversare passivamente per andare in un altro posto ma conoscerlo e apprezzarne le potenzialità. Questo è al centro del progetto di Greenapsi come anche della volontà di coinvolgere i cittadini fino al piano esecutivo del progetto: la riconversione del viadotto può essere un’occasione per il rilancio economico e sociale, impiantando funzioni come il bike sharing, le ciclofficine o strumenti di sperimentazione per le energie alternative come la startup di Socal Energy già presenti sul territorio, che proprio qui potrebbe testare le sue soluzioni.

 

Simone d’Antonio
@simonedantonio