Bollettino Urbact – Luglio 2014

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Cosa sta facendo Urbact: iniziative di sviluppo locale, ovvero come mettere le persone al centro del processo decisionale

Costruire una visione comune di ciò che significa e presuppone una “Community-Led Local Development (CLLD)“, condividere esperienze legate ai processi partecipativi e all’uso di questo strumento in contesti non urbani nonché comprendere le sfide della sua applicazione nelle aree urbane sono i principali obiettivi al centro del seminario Urbact organizzato di recente sul tema dello “sviluppo urbano guidato dalla comunità”.

Dopo il seminario abbiamo avuto la possibilità di parlare con Darinka Czischke, responsabile di un progetto su uno studio più ampio di Urbact; questo seminario è parte di quello che guarda a “Nuovi concetti e strumenti per lo sviluppo urbano sostenibile nel 2014-2015”.

Darinka, qual è secondo te l’elemento che caratterizza meglio CLLD?
In primo luogo va detto che CLLD è il termine utilizzato dalla Commissione europea per descrivere un nuovo tipo di politica bottom-up, piuttosto che top-down. Le persone del posto possono formare dei partenariati locali che progettano e attuano strategie integrate. Nessun singolo gruppo dovrebbe avere più del 49% dei voti e i partner non pubblici dovrebbero avere almeno il 50% dei voti. Per questo motivo CLLD è spesso descritto come un metodo o uno strumento, ma potrei non essere d’accordo con questo. Credo che il messaggio principale per andare oltre è che CLLD è un modo di fare le cose. E’ un altro modo di guardare alla partecipazione che richiede una mentalità diversa, dove le persone sono poste al centro del processo decisionale. Si parte da una visione della domanda di problemi attingendo alle esigenze degli attori locali, un processo che vede i cittadini al posto di guida. Va inoltre osservato che CLLD è l’unico programma in tutta l’UE dove le strategie e i progetti sono disegnati e selezionati dagli stessi cittadini. Questo rappresenta un importante cambiamento di paradigma, da “territoire guichet” a “territorire Projet”, come sottolinea Paul Soto, uno dei principali autori della guida sul modello CLLD recentemente pubblicata dalla Commissione europea.
Tuttavia se guardiamo al contesto delle politiche regionali e urbane, CLLD è solo una piccola parte di una più ampia visione. Solo il 5% dei fondi europei è destinato al modello CLLD (1). Quindi siamo ancora lontani dal trasformare CLLD nel principale paradigma ma ci stiamo lavorando, siamo all’inizio di un cammino. Oggi abbiamo potuto vedere una grande diversità al seminario in termini di comprensione e anche impegno verso questo approccio; il seminario è stato molto utile per iniziare a costruire una visione comune. Abbiamo avuto anche un buon numero di casi, alcuni pionieri potrei dire, come il Comune di Gotheburg (SE) o il caso finlandese di LEADER.

Come possono le città e gli altri attori locali usare concretamente il modello CLLD?
L’attuale modello di CLLD è stato sviluppato e testato da alcuni programmi chiave europei come LEADER o FARNET, mentre altri, come ad esempio Urbact, contengono già elementi del modello CLLD. Fondamentalmente sono necessari otto step per lanciare CLLD e il principio fondamentale del carattere interattivo dell’intero processo.
GraficoUrbactIl diagramma a spirale è un’ottima rappresentazione di questo modello ed è qualcosa che può essere applicato a qualsiasi tipo di sforzo collettivo che richiede che il gruppo lavori assieme attraverso una serie di step per rivedere i loro risultati iniziali. Il diagramma si riferisce anche ad un modo incrementale di raggiungere risultati, molto simile a quello che facciamo nella nostra vita normale – si parte da un livello semplice per poi aumentare il livello di complessità, inoltre nel corso del processo si può tornare indietro ogni qualvolta si desideri cambiare o modificare qualcosa.
Il numero di step può variare ma ciò che è alla base del processo sono i tre elementi principali che definiscono un CLLD. Questi elementi, altrimenti conosciuti come la “trinità di CLLD” sono: la strategia, il partenariato e l’area. Il metodo in sé non cambia, se lo applichiamo alle aree urbane è il contenuto che è diverso.

E da quello che abbiamo sentito oggi, si possono già individuare alcune specificità legate alle città che applicano il modello CLLD?
Prima di tutto, abbiamo bisogno di sottolineare la complessità e la diversità del contesto urbano. Finora CLLD è stato utilizzato principalmente nelle zone rurali, ma il set e le dinamiche sono completamente diverse a quel livello. Le persone sempre più spesso si conoscono le une con le altre, conoscono il nome degli altri, il loro background, il loro orientamento politico, e così via. In ambienti urbani, ci sono molti di questi attori: alcuni sono più visibili di altri, altri meno.
Ci sono anche piattaforme e gruppi di azioni pre-esistenti, alcuni che già utilizzano metodi partecipativi. CLLD ha bisogno di trovare il suo posto in questo tipo di dinamica senza duplicare ciò che è stato fatto finora. A ciò si aggiungono le tensioni politiche e quelle tra i vari livelli di amministrazione, la paura del decentramento a tutti i livelli. Le amministrazioni locali temono di cedere il proprio potere ai gruppi locali. L’argomento usuale è la non rappresentatività di questi gruppi e anche la loro capacità limitata di gestione di strategie complesse o bilanci. E naturalmente il rischio di avere gruppi CLLD ostaggio di specifici gruppi di interesse è molto più alto in contesti urbani.
Un’altra sfida menzionata oggi è stata quella della dimensione urbano-rurale e la questione ad essa correlata dei confini, che sono ancora percepiti in modo nettamente contrastante. Viviamo oggi in un mondo altamente urbanizzato, soprattutto in Europa, dove non si può parlare di pura campagna o costa. Le persone vivono in tutto il mondo in diverse aree territoriali che rappresentano condizioni molto ibride rispetto agli scenari naturali.
Per questo motivo, abbiamo bisogno di cominciare a riflettere di più su territori con un mix di urbano e rurale piuttosto che pensare al forte divario tra rurale e urbano. Il terzo seminario si concentrerà nel dettaglio su questo tema.

C’è secondo te un ingrediente principale per un utilizzo corretto di CLLD in città?
L’uso di CLLD dipende molto, ovviamente, dalla cultura, dall’organizzazione politica e sociale dei paesi e dall’apertura dei governi verso il coinvolgimento della comunità. Abbiamo visto oggi che ci sono modi molto diversi per città e paesi per raggiungere questo obiettivo. Non è sorprendente il fatto che i primi paesi che hanno introdotto CLLD nei loro accordi di partenariato sono la Svezia e la Finlandia. Questi sono i paesi in cui gli approcci di partecipazione sono profondamente radicati nelle loro tradizioni e sono anche collegati con i valori socialdemocratici di questi paesi.
Di contro, vediamo paesi in cui non c’è una specifica tradizione di applicazione di processi partecipativi ma dove ci sono, però, forti movimenti sociali che stanno prendendo piede in questo periodo. Qui mi riferisco soprattutto a Spagna e a Grecia, dove l’uso di CLLD e di un altro tipo di processo partecipativo può venire da una richiesta di tipo bottom-up. Si tratta di due diversi tipi di modelli ma entrambi possono portare ad un maggiore uso di CLLD. Ma oltre il contesto, forse l’ingrediente più importante per le città è credere nella partecipazione e fidarsi del fatto che mettere le persone al centro delle loro politiche locali è il modo migliore per servire i propri cittadini.

(1) Per i dettagli completi su come CLLD è concepito all’interno dei Fondi strutturali europei, consultare la Guidance on Community-led Local development in European Structural and Investment Funds.

Per saperne di più:
Ten differences between Integrated Territorial Investments (ITI) and Community Led Local Development (CLLD) – dal blog di URBACT
Guidance on Community-Led Local Development in ESI Funds – dal sito web della Commissione Europea, DG Regio
Guidance on Community-Led Local Development for Local Actors – dal sito web della Commissione Europea, DG Regio

Focus sulle città. Udine: l’integrazione delle persone Rom resa possibile grazie ad Urbact

Nel 2009, mentre altre città (e governi nazionali) in Europa rendevano più aspro e duro il loro approccio verso le comunità Rom (sgombri, distruzione di campi, ecc.), la città di Udine decideva di esplorare delle soluzioni inclusive con altre 10 città nella rete Urbact ROMA-NeT. Qui potete vedere come il metodo Urbact ha consentito alla città di impegnarsi con la comunità Rom e di trovare delle soluzioni sostenibili per migliorare, sin da quel momento, le loro condizioni di vita.

Udine, con una popolazione di 98.000 abitanti, è una ricca città che si trova nella regione collinare del Friuli Venezia Giulia, nel nord-est Italia. Situata a circa 20 Km dalla Slovenia e a 50 Km dall’Austria, Udine è un melting pot di culture, lingue e gruppi etnici diversi. Il friulano, una lingua retoromanza dello stesso ceppo della Romanza svizzera, è parlato comunemente nella vita di tutti i giorni, così come il tedesco e lo sloveno; è infatti abbastanza normale che i suoi abitanti usino contemporaneamente fino a quattro lingue diverse quando parlano.

Ai visitatori, Udine appare come una città “in bilico”, ricca di diversità e orgogliosa del suo patrimonio multiculturale. Tuttavia, se si avventurassero qualche chilometro fuori dall’elegante centro storico medievale, scoprirebbero una realtà diversa: il più grande campo Rom illegale d’Italia. I suoi abitanti vivono lì in condizioni spaventose, senza accesso ai livelli standard di sicurezza e ai servizi minimi come l’acqua corrente e l’elettricità. L’aspettativa di vita è bassa, l’analfabetismo molto alto, le opportunità di occupazione praticamente nulle. Le tensioni interne e i litigi tra le famiglie rivali inaspriscono ulteriormente la precarietà e la violenza nel campo e verso il “mondo esterno”.

Un progetto nato durante una caccia alle streghe contro la popolazione Rom

Nel 2008, un giro di vite contro i Rom è stato chiesto a livello nazionale da politici sconsiderati. Il clima generale in Italia era analogo a quella di una caccia alle streghe. Ai sindaci venivano dati poteri straordinari per forzare gli sgomberi degli accampamenti Rom, senza fornire delle soluzioni di alloggio alternative. Le tensioni tra i Rom e i “gaggi” (i “non Rom”) erano esacerbate, la sfida tra le due parti aveva raggiunto il suo picco. Distruggere i campi era considerato da alcuni come una soluzione drastica ed efficace alla questione Rom, ma era chiaro che senza una pianificazione di lunga durata un simile approccio era, ed è, destinato a fallire: nuovi campi sarebbero sorti di nuovo in quelle aree.

Ad ogni modo, Udine voleva muoversi in una direzione diversa: “il nostro governo locale era convinto che l’unico modo per fare progressi non erano gli sgomberi, quanto piuttosto l’inclusione sociale”, sottolinea Antonella Nonino, Assessore del Comune di Udine responsabile per le questioni Rom, ritornando sull’esperienza di Udine in ROMA-NeT. Antonella Nonino era stata chiamata per lavorare sulla tematica Rom e per progettare un programma locale per favorire l’inclusione dei Rom solo qualche mese prima del lancio della rete ROMA-NeT.

In un momento in cui il governo italiano si appellava alle altre istituzioni per mettere in campo azioni forti e decisive per risolvere la cosiddetta “emergenza Rom”, Udine decideva di guardare più da vicino alle esperienze fatte in altri Paesi dell’Ue per cercare soluzioni sostenibili. Anche se Antonella riconosce di essere stata scettica, all’inizio, riguardo ai benefici del prendere parte ad un progetto che avrebbe finanziato scambi e non azioni…decise di provare: “avevamo molte idee, ma non sapevamo da dove cominciare e come implementarle. Budapest ci ha contattati nel momento giusto quando ci ha invitati a far parte del progetto ROMA-NeT.

IL QUADRO UE PER LE STRATEGIE NAZIONALI DI INTEGRAZIONE PER I ROM

Nel 2011 la Commissione Europea ha adottato un Quadro per le Strategie Nazionali di Integrazione per i Rom incentrandosi su quattro aree principali: l’istruzione, l’occupazione, la salute e l’alloggio. Le strategie presentate dagli Stati Membri sono state valutate dalla Commissione Europea e la loro implementazione si è accompagnata alla creazione di Punti di Contatto nazionali sul tema dell’integrazione dei Rom.

Se volete saperne di più sui progressi fatti finora, leggete il Report 2014 sull’implementazione del Quadro per le Strategie Nazionali di Integrazione per i Rom.

Far sedere tutti allo stesso tavolo: una fase molto impegnativa!

Come per la maggior parte dei partner di Urbact, la prima sfida per Udine è stata quella di riunire i principali portatori di interesse intorno allo stesso tavolo per fare una ricognizione della situazione locale e cercare insieme delle possibili vie d’uscita. Trattandosi della tematica Rom, questa fase si è rivelata ancora più complicata.

Le associazioni che lavoravano sul campo con i Rom erano restie a prendere parte ad un progetto che sembrava a prima vista “tutte parole e niente azione”. Maria Cantarutti, una volontaria della Società San Lorenzo de Paoli, un’associazione religiosa locale di volontariato, la mette in questi termini: “Siamo abituati a lavorare in un continuo stato di emergenza con la comunità Rom e lottiamo per fornire un’assistenza di base. Abbiamo poco tempo per le parole, quindi…”.

Per cominciare, tutte le organizzazioni che avevano a che fare con la comunità Rom furono contattate ed invitate agli incontri con il Comune. Gli stakeholder erano molto eterogenei, spaziando dagli enti pubblici (autorità sanitarie, servizi sociali, ecc.) alle opere pie e alle associazioni di volontariato. Il settore pubblico, quello privato e il terzo settore erano tutti rappresentati. Per molte organizzazioni, si trattava della prima volta che avevano l’opportunità di parlare tra di loro e con il Comune.

Lo scopo dei primi incontri era quello di stabilire una visione comune su ROMA-NeT e di redigere uno studio di base con l’indicazione delle priorità da affrontare. Il processo si è rivelato difficile. Ogni stakeholder aveva un punto di vista diverso su come fosse meglio andare incontro agli interessi della comunità Rom, punti di vista che spesso si scontravano con quelli della stessa comunità Rom.

Nonostante ciò, grazie all’esercizio dello studio di base e con l’aiuto dell’esperta della rete, Ann Hyde, è stato possibile identificare e mettersi d’accordo su quattro priorità sulle quali il Gruppo di Supporto Locale avrebbe dovuto lavorare: accesso al lavoro; accesso all’istruzione; accesso all’alloggio; e accesso alla salute. Di particolare importanza è stato il tema dei giovani, dell’alto tasso di abbandono scolastico (98%, dal momento che i genitori sono soliti ritirarli dalla scuola una volta che hanno imparato a leggere, scrivere e a far di conto) e delle carenze sanitarie (obesità diffusa, aspettativa di vita estremamente bassa, ragazzi non vaccinati). Infine, un problema ricorrente continuava a presentarsi al tavolo quando si stava delineando lo studio di base: la mancanza di fiducia tra la comunità Rom e le autorità pubbliche. Per il Comune, rompere i vecchi schemi di diffidenza rappresentava una priorità prima di poter sviluppare delle azioni che sarebbero potute andare nell’interesse di tutti gli attori coinvolti.

Costruire la fiducia per creare dei ponti tra le comunità e identificare bisogni reali

Con l’aiuto dell’esperto della rete e grazie agli input e alle idee dei partner, Udine è riuscita nell’intento di costruire una partnership solida con la comunità Rom. Il Comune ha deciso che i Rom avrebbero dovuto essere al centro del Gruppo di Supporto Locale: il loro know-how e la loro esperienza nell’avere a che fare con le diverse associazioni era necessario per capire le dinamiche locali, i bisogni della comunità e per sviluppare un’atmosfera di co-produzione nel Gruppo di Supporto Locale. Ottenere la fiducia della comunità Rom si è dimostrato un compito arduo: è stata fatta una mediazione sul campo, parlando con un gruppo o con una famiglia per volta e chiedendo loro quali fossero le loro prospettive sul campo, sulle politiche locali dirette a loro e sui loro bisogni, speranze e desideri. In questo senso, ROMA-NeT è stato davvero un processo bottom-up che ha impiegato molto lavoro sul campo.

Alla fine, i leader della comunità Rom locale sono diventati sempre più consapevoli di poter giocare un ruolo importante nel Gruppo di Supporto Locale e che la loro opinione e le loro richieste avrebbero contato. Si è trattato di un vero cambiamento di rotta per Udine.

Per gli attori coinvolti nel Gruppo di Supporto Locale, questo processo ha comportato un cambiamento nella mentalità su come affrontare “la questione Rom”. Proprio all’inizio di ROMA-NeT, gli stakeholder per lo più condividevano l’opinione che la soluzione migliore sarebbe stata quella di equipaggiare il campo con dei furgoni e con generi di prima necessità. Tuttavia, i contatti dal basso rivelavano che questo approccio era basato su un pregiudizio, in particolare su quello secondo il quale le popolazioni Rom accettano di buon grado la segregazione sociale, e che addirittura la desiderino. Il vice sindaco di Udine, Antonella Nonino, ricorda: “all’inizio, pensavamo che uno dei principali sforzii del Gruppo di Supporto Locale di Urbact dovesse essere quello di convincere i Rom a lasciare il campo. Tuttavia, abbiamo capito durante i nostri incontri che loro stessi desideravano lasciare il campo ma che non sapevano come farlo e come affrontare la situazione. Il Gruppo di Supporto Locale è stato il ponte tra due mondi e i loro pregiudizi”.

Condividere esperienze e pratiche con altre città europee si è dimostrato utile sin dall’inizio. L’esperienza di Budapest con i Rom, in particolare, è stata di grande ispirazione. Le lezioni apprese da politiche attuate in passato hanno messo in evidenza che la vera integrazione richiede tempo e che forzare l’integrazione (ad esempio spostando le famiglie Rom dai ghetti a quartieri in appartamenti) è quasi sempre un processo destinato al fallimento. Invece, ciò che è richiesto è un processo di integrazione graduale con un sostegno attivo e individuale e con una adeguata comunicazione lungo il percorso.

Progettare un piano di azione integrato per fare la differenza

Una volta che il Gruppo di Supporto Locale ha trovato un accordo su come approcciare le questioni locali legate ai Rom, il passaggio successivo consisteva nel cominciare a lavorare su un piano di azione, anche sulla base delle aspettative di tutte le città che facevano parte della rete Urbact.

Per Udine, questo Piano di Azione Locale doveva riflettere l’approccio partecipativo adottato in ROMA-NeT ed essere il prodotto del Gruppo di Supporto Locale. Non una proposta del Sindaco né, tanto meno, del Comune, ma quella di un gruppo di cittadini attivi e di organizzazioni che erano stati chiamati a contribuire in qualità di esperti al processo di policy making. Per il team di Udine, il piano di azione locale ha rappresentato un elemento chiave per la formalizzazione delle priorità definite congiuntamente da tutti gli stakeholder, così come per l’individuazione delle azioni proposte per affrontare i problemi principali. Ha rappresentato anche la base ufficiale per esplorare opportunità di finanziamento e per costruire una adeguata ingegneria finanziaria per l’esecuzione delle azioni.

Con l’endorsement del Piano di Azione Locale da parte del Comune, il Gruppo di Supporto Locale ha acquisito una solida legittimità. Maria Cantarutti parla dalla prospettiva di una ONG: “i nostri timori si sono rivelati infondati. Il metodo Urbact applicato ad Udine grazie a ROMA-NeT dimostra che la partecipazione dal basso può davvero aiutare a creare un coinvolgimento efficace tra tutti gli attori coinvolti, inclusi i Rom. Urbact ha cambiato il modo in cui noi approcciamo il tema nella nostra realtà locale: siamo passati da un approccio paternalistico ad un approccio basato sull’auto-riconoscimento, aprendo la strada ad una soluzione a lungo termine che funziona per tutte le parti coinvolte”.

Grandi progressi con pochi sforzi…

Non ci è voluto molto perché il metodo Urbact dispiegasse i suoi primi risultati: nell’arco dei tre anni del progetto (ROMA-NeT si è concluso nel 2013), il numero di persone che vivono nel campo illegale si è dimezzato. “E senza ordinanze di sgomberi!”, sottolinea Antonella Nonino. Grazie al Gruppo di Supporto Locale di Urbact, si sono sviluppate sinergie tra i vari attori: ad esempio, la Caritas, una organizzazione locale che si occupa di social housing e una compagnia di costruzioni hanno lavorato insieme per cercare una soluzione di alloggio che funzionasse per la comunità Rom.

Antonella è impressionata dai primi risultati ottenuti grazie alla partecipazione di Udine a ROMA-NeT. “I tassi di criminalità sono diminuiti moltissimo in quel campo, il 60% dei suoi abitanti lo ha abbandonato per cercare una soluzione di alloggio permanente, e questi risultati sono stati raggiunti senza ricorrere a delle costose azioni “ispirate alla sicurezza”, se si pensa che radere al suolo un campo con i bulldozer costa 250.000 Euro…”.

Inoltre, ROMA-NeT ha fornito grande visibilità e legittimità alla comunità di stakeholder coinvolti nel Gruppo di Supporto Locale. Maria è entusiasta dei risultati della loro partecipazione nel processo: attraverso Urbact, sono stati contattati dall’UNICEF, con cui al momento stanno organizzando un servizio sanitario dopo-scuola per i ragazzi Rom. “Abbiamo scoperto che alcuni di questi ragazzi soffrono di deficit di apprendimento non diagnosticati, che è una delle ragioni per cui lasciano la scuola”. Un’altra organizzazione ha insegnato alle donne Rom a leggere e a scrivere, prendendo come pretesto il fatto che non erano in grado di compilare i moduli necessari per ricevere le bombole di gas offerte loro per riscaldare i loro alloggi. Alcune di loro sono riuscite a completare l’8° livello.

Ma soprattutto, per Antonella Nonino, l’esito più importante della rete è stato il cambio di mentalità di Udine: “prima di ROMA-NeT, allontanavamo gli stakeholder che cercavano di fare del loro meglio per servire la comunità. Adesso abbiamo dei partner qualificati che hanno voglia di continuare ad apprendere”.

Antonella ritiene che nei prossimi anni sarà di importanza cruciale potenziare le connessioni tra le reti Urbact e la programmazione dei fondi strutturali. “C’è un “prima” e un “dopo” la partecipazione in Urbact: tutto cambia per diventare più efficace, più partecipativo, più trasparente. Il Fondo Sociale Europeo ha bisogno di essere riformato sulla base di questi cambiamenti. Non avrebbe senso per il FSE continuare a finanziare le stesse azioni quando Urbact è già due passi avanti sul tema dell’integrazione”, continua Antonella. Le sue considerazioni sono molto importanti: sono una “sveglia” in un momento in cui il futuro di Urbact è nelle mani dei policy makers.

LE RETI PILOTA URBACT

Insieme a EVUE e ad ESIMeC, il progetto ROMA-NeT è stato selezionato come una delle tre reti pilota che testeranno la cooperazione urbana ottenuta attraverso Urbact nella predisposizione di una fase di esecuzione dei loro progetti. La sfida per le città coinvolte in queste reti riguarda il modo in cui assicurare la sostenibilità e l’integrazione (due caratteristiche fondamentali per i piani di azione Urbact), attraverso la fase di implementazione. Detto in un altro modo, questa sfida riguarda il modo in cui si può assicurare che in ciascuna fase e in ogni tempo le azioni che hanno luogo integrino le dimensioni economica, sociale ed ambientale.  

Photo credits: UNDP Europe and CIS su flickr

Per saperne di più:

ROMA-NeT mini-site– Sito URBACT

Udine’s Local Action Plan– Documento di progetto

ROMA-NeT 2  mini-site– Sito URBACT

EU Framework for National Roma Integration Strategies– Sito della Commissione Europea, DG Giustizia

 

News: i genitori e le città, una partnership vincente per migliorare l’occupabilità dei giovani

La rete Urbact PREVENT la pensa così. Le dieci città partner lavorano con i genitori per prevenire un abbandono scolastico precoce. Il loro obiettivo è quello di garantire un’istruzione migliore per favorire una transizione più efficace verso il mondo del lavoro, assicurandosi che i giovani possiedano abilità e qualifiche necessari per ottenere posti di lavoro migliori e diventare cittadini più attivi.

Quali sono i benefici legati al contrasto all’abbandono scolastico?

Le ragioni che spingono al contrasto dell’abbandono scolastico prematuro sono state a lungo dimostrate e hanno un impatto su diversi piani delle nostre vite. Prima di tutto, l’istruzione fa bene alle persone: stare a scuola un anno in più incrementa i guadagni di un giovane lavoratore di circa 70mila euro per l’intera carriera lavorativa, per non parlare dell’aspettativa di vita e lo stato di salute. Lo Stato ne beneficia allo stesso modo visto che istruzione e vita professionale attiva spesso significano un aumento nel pagamento di tasse e minore peso sui sistemi di welfare, sui sistemi sanitari e sui sussidi dall’istruzione. La presenza di persone attive e istruite fa bene anche alla società, conducendo a tassi inferiori di criminalità e a migliori condizioni di salute.

Questo tema è importante anche per l’Unione europea. Uno degli obiettivi principali della strategia Europa 2020 è quello di ridurre il tasso di abbandono scolastico a meno del 10% entro il 2020. È un obiettivo ben motivato anche in riferimento agli attuali tassi di disoccupazione, soprattutto per molti dei giovani europei. Tassi elevati di abbandono scolastico significano un enorme spreco di potenziale e, come menzionato in precedenza, un forte ostacolo alla crescita sociale, economica e personale.

Inoltre, considerato che l’abbandono scolastico precoce è proporzionalmente più elevato nelle aree urbane, molte città incorreranno in un aumento dei costi in termini di sistemi sociali e di welfare, in quanto con l’attuale scenario di crisi economica si prevede che i tassi di disoccupazione continueranno a crescere nel prossimo periodo. Questa situazione mette le città in prima linea nel contrasto all’abbandono scolastico.

Ma se è vero che bisogna contrastarlo, in che modo si può concretamente mettere in pratica una strategia di contrasto al fenomeno?

Verso un approccio olistico

Le cause dell’abbandono scolastico precoce possono essere a livello individuale estremamente complesse e non sempre facili da comprendere: coloro che abbandonano la scuola non sono un gruppo omogeneo e si registra spesso più di un problema che conduce all’abbandono scolastico, che non rappresenta mai un’azione improvvisa. Gli studi mostrano infatti che la decisione di abbandonare gli studi può essere il passo finale di un lungo processo in cui il giovane ha fatto fronte a numerose implicazioni negative che lo hanno condotto ad assumere quella decisione

Più che accettare l’abbandono scolastico come un segno dei tempi, gli studi e i progetti attuali si focalizzano sulle cause strutturali e sistemiche che possono avere un impatto sul perché i giovani abbandonano presto la scuola, aggiungendo possibilmente eventuali spiegazioni ulteriori. Questa tendenza previene la stigmatizzazione di singoli e gruppi di persone promuovendo invece la ricerca su strutture e sistemi già esistenti in modo da essere meglio equipaggiati per affrontare le sfide collegate all’abbandono scolastico prematuro, e alle domande che il fenomeno solleva.

In collaborazione con genitori e città

Il network PREVENT aggiunge due elementi-chiave a questo approccio olistico: considerare i genitori come un elemento chiave per individuare una soluzione al problema dell’abbandono scolastico precoce e, allo stesso tempo, considerare le città come forze vitali capaci di creare sinergie, consapevolezza e di promuovere e sviluppare una collaborazione innovativa tra gli stakeholder locali.
Lo studio sottolinea chiaramente l’importanza del coinvolgimento dei genitori e delle famiglie come fattore di maggior successo nella riduzione dei tassi di abbandono scolastico: nonostante ciò, numerose azioni e progetti di prevenzione dell’abbandono scolastico escludono i parenti come target group di azioni specifiche. Come risposta a questo divario, il network PREVENT è stato realizzato con l’idea di trovare buone prassi già esistenti di coinvolgimento dei genitori da condividere e disseminare da un lato, e dall’altro per sviluppare nuove modalità di coinvolgimento dei genitori in misure preventive.

Più concretamente, ciò significa che il network PREVENT lavora nell’avvicinare studenti, scuole e genitori nel prevenire l’abbandono scolastico. Realizzare legami forti tra i diversi stakeholder utilizzando un approccio olistico può avere un impatto reale in diverse aree, ognuna di grande importanza per contrastare l’abbandono scolastico precoce. Tra queste figurano il modo in cui le scuole sono collegate a famiglie e genitori, l’ambiente scolastico, il modo in cui viene offerto sostegno a famiglie, insegnanti e studenti, il modo in cui gli altri attori della società civile possono essere coinvolti. Concentrarsi sull’approccio parentale per contrastare il problema dell’abbandono scolastico preventivo può essere un modo per trovare nuove soluzioni a riguardo ma può anche portare un valore aggiunto nel settore delle relazioni tra ragazzi e genitori, per migliorare la performance educative e scolastica fino al coinvolgimento degli stakeholder locali nella pianificazione urbana, nella realizzazione di servizi e nel policy making.

L’abbandono scolastico precoce non è un tema isolato ma un problema dalle molteplici sfaccettature con cause e radici in molti livelli. Per meglio comprenderlo, c’è bisogno di realizzare connessioni con tutti gli stakeholder più rilevanti, per visualizzare bisogni e risorse. I partner di PREVENT hanno trovato un nome a questo approccio, chiamato PREVENT-OLOGY. Il modello viene usato per coordinare buone pratiche e idee. Alla fine di questo percorso presenteranno una mappa di modalità innovative e sperimentate che, a partire da un approccio multilivello, potranno essere utili alle città di tutta Europa che intendono ridurre e prevenire l’abbandono scolastico prematuro, con l’ambizione di coinvolgere e sostenere i genitori come uno dei maggiori fattori di successo.  

Questo articolo è basato sul lavoro di ricerca e analisi dei dati realizzato dal “Good practice Sourcebook”, del progetto PREVENT da Ulf Hägglund
Per saperne di più:

PREVENT minisito– dal sito URBACT

Good Practice Sourcebook– Documento di progetto