Vivere a spreco zero. Una rivoluzione a portata di tutti

Dal ben-essere al ben-vivere facendo di più con meno e puntando sui beni comuni e relazionali. E’questo il messaggio del libro “Vivere a spreco zero. Una rivoluzione a portata di tutti” (Marsilio editore) di Andrea Segrè, docente all’Università di Bologna e fondatore di Last Minute Market. Protagonisti della rivoluzione in atto sono i cittadini attivi e i consum-attori che attraverso stili di vita più sostenibili contribuiscono a un nuovo modello di produzione e consumo che consente di risparmiare ed affrontare la crisi attuale.

Ma da dove si comincia per raggiungere l’obiettivo dello spreco zero? Secondo l’autore dalla fine, ovvero dai rifiuti che produciamo. E’ il cogito cartesiano ad essere ribaltato: “penso dunque sono” diventa “rifiuto dunque non sono”. La filiera della produzione e del consumo di beni e merci va rivisto a partire dai comportamenti dei cittadini. Ma qualcosa sta cambiando. Diverse sono le strategie che possono essere messe in campo: fin dalla progettazione si possono ridurre i materiali, l’energia e la pericolosità dei beni. Si tratta dell’eco-design industriale, l’industrial ecology, dalla culla (produzione) alla tomba (smaltimento) del rifiuto. Altra via però è la strategia zero waste, teorizzata da Paul Connett, che si sta diffondendo sempre di più. Un caso su tutti è il comune di Capannori, primo in Italia ad aver adottato tale strategia e ad aver costituto una rete nazionale rifiuti zero. Oltre alla raccolta porta a porta, solo primo passaggio di questo processo, si punta infatti alla nascita di centri di ricerca sulla riprogettazione del prodotto industriale e centri comunali per la riparazione, il riuso e la decostruzione dei rifiuti.
E’ il sistema economico e gli stili di vita che devono cambiare, dunque. Si spreca troppo, secondo Segrè, soprattutto il cibo. Sul pianeta ci sono circa due miliardi di “consumatori” che mangiano male: troppo o troppo poco. E molti sono i paradossi della società moderna: il primo riguarda la presenza di tre miliardi di animali da allevamento a cui è destinata circa un terzo della produzione alimentare mondiale. Si chiede, allora, l’autore: chi nutrire? Gli animali o gli uomini? A questo paradosso si lega quello dello sfruttamento della terra, del suolo agricolo. Se si manifesta infatti la necessità di aumentare la produzione agricola del 70% per sfamare una popolazione in crescita dall’altro lato però è evidente l’alta percentuale dello spreco alimentare. Se si recuperassero questi scarti si potrebbe sfamare per un anno circa metà della popolazione mondiale.
Bisogna pensare invece al bonum commune “al quale – scrive l’autore – si ricollegano i beni comuni”. Vuol dire anteporre al desiderio di consumare tutto e subito il dovere di pensare alle generazioni future. Ciò implica un diverso modo di essere cittadini, responsabili e solidali, all’interno della città intesa come civitas: popolazione, imprese, istituzioni. Qui l’autore si appella a Salvatore Settis e alla sua idea di azione popolare, quando rimarca la necessità di mettere in pratica quella sussidiarietà circolare che consiste in un rapporto di collaborazione tra pubblico, privato e società civile verso un nuovo modello economico e sociale in cui a prevalere sia l’interesse generale. L’homo civicus deve pertanto prendere il sopravvento sull’homo oeconomicus.