Collaborative Mapping, pratiche neogeografiche e nuove sfide alla governance urbana

Quando nel 2005 viene lanciato Google Map, improvvisamente, le nostre ricerche in web si ordinano sulla superficie terrestre, in quella piana raffigurazione del mondo rappresentata dalla figura della mappa geografica.
Ma non solo. La possibilità di poter contribuire alla costruzione della mappa, nelle sue correzioni e nei contenuti, fa emergere un una pratica sperimentativa già attiva da qualche anno nel regno del web: il collaborative mapping si presenta come attività volontaria di neogeografi dello spazio urbano e di loro stessi.

Nel web 2.0 – attraverso piattaforme open come OpenStreetMap, Geo-wiki e Wikimapia, insieme alle applicazioni di Mash-up e Api e all’uso quotidiano di dispositivi mobili con GPS – si moltiplicano le esperienze di utilizzo, creazione e condivisione di mappe, mentre l’esplorazione geografica in rete si trasforma nella rappresentazione assidua di territori. Infatti, rispetto al passato, queste mappe ci raccontano non solo dell’esperienza (quotidiana) della città ma georeferenziano anche dell’esperienza virtuale che a partire dal reale viene prodotta.

La neogeografia che ne emerge assume così come centro propulsivo non solo il prodotto, in continua evoluzione, ma chi lo produce, la folla (crowd) e la mappa, per molti strumento passivo di localizzazione, orientamento e misura, diventa spazio attivo e generativo, prestandosi ad ospitare una varietà di linguaggi (testi, immagini, video, suoni, etc) in continua interazione e rimando reciproco. Non si tratta più di leggere la mappa, ma di scriverla aprendo a tutte le dinamiche di attraversamento possibili. La mappatura è infatti il risultato di una varietà di modelli di movimento, di diversi modi di usare ed esperire lo spazio, così come di diverse e implicite visioni del mondo e potenzialità di trasformarlo.
Inoltre, le moltissime le esperienze crowdsourcing urbano che sviluppano pratiche di autocostruzione di mappe condivise appaiono iscriversi pienamente nell’orizzonte della Human Smart City in cui la piattaforma digitale diventa lo spazio in cui l’espressione, l’informazione e l’interazione non solo è a disposizione di persone e organizzazioni, ma è da questi collettivamente prodotta.
Anche in Italia la mappatura condivisa, oltre a una forma di rappresentazione del territorio, è diventata uno strumento utilizzato per catalogare, analizzare e rappresentare particolari tipi di risorse (in parte raccolti in http://www.biennalespaziopubblico.it/cittaopensource/). Si va dai percorsi mountain bikers o joggers, ai consigli sui locali pubblici o percorsi del attraversamento della città, per genere, etica e stili di vita, per estetiche di consumo e scelte sessuali. Moltissime piattaforme permettono ai cittadini di segnalare i problemi di territori, di città o di quartieri (criticità ambientali, discariche illegali, scarsa illuminazione, buche, rumori, parcheggiatori abusivi) altri mappano l’uso o il non uso di alcune risorse urbane materiali e immateriali (beni culturali, beni confiscati, spazi abbandonati, edifici dismessi, orti urbani, suoni). Queste piattaforme di condivisione assumono di volta in volta la dimensione analitica, investigativa, critica e rivendicativa, propositiva, deliberativa. A partire dalla varietà di esperienze che i cittadini fanno della loro città (visiva, sonora, conoscenza, immaginazione) promuovono lo scambio di informazioni, la discussione e il confronto, l’interazione e l’ideazione, sostenendo la collaborazione, l’aggregazione e la condivisione intorno a esperienze (visive, sonore, culturali) e idee di città e/o di recupero di parti di essa, come la costruzione di network culturali per mandare avanti i progetti.
Questo sistema autoprodotto di georeferenziazione della conoscenza appare oggi in tensione con i Sistemi Informativi Territoriali, classici strumenti geografici di supporto alle decisioni. Infatti, mentre i Gis si fondano sulla precisione del dato e sulle competenze esperte, le mappe prodotte dal crowdsourcing urbano privilegiano i contenuti e le conoscenze diffuse; mentre i primi si reggono su una logica computazionale e sono generalmente strumenti di carattere top down eventualmente implementabili dagli user (come i PPGIS), i secondi assumono logiche dei mashup, sono prodotti attraverso processi bottom-up e gli user sono anche makers e driver; mentre i primi promuovono download di informazioni e, poi eventualmente il loro upload perfezionato, i secondi si fondano sugli upload multipli di contenuti e solo dopo costruiscono un sistema, spesso open data, di informazioni; mentre i primi parlano attraverso tabelle e grafici, spesso di difficile interpretazione, i secondi attraverso foto, testi e video. Questa modalità di costruzione e condivisione della conoscenza territoriale in continua evoluzione apre ad una nuova sfida alla governance urbana, soprattutto laddove i processi di collaborative mapping hanno stimolato le persone a riformulare spazialmente l’interazione sociale sollecitando nuovi orizzonti alle partecipazione pubblica.
I dilemmi della partecipazione esistono anche qui, ma il terreno fertile dell’innovazione prodotta si misura sempre più con la costruzione assidua e volontaria di territori della conoscenza e con una vera e propria pratica spaziale di socializzazione dell’interazione sociale in cui si cattura il sapere locale, i bisogni, i desideri, le aspettative, le visioni e le idee.