Riuso temporaneo da Roma all’Europa, con Tutur gli spazi abbandonati si trasformano in strumenti culturali

Ogni città europea ha degli spazi inutilizzati o sottoutilizzati che però hanno grandi potenzialità per favorire la rinascita di interi quartieri. Mercati, fabbriche, stazioni e centri commerciali dismessi: migliaia di metri quadri che possono essere rigenerati per gli usi più vari. Per questo motivo il riuso temporaneo è uno degli argomenti più discussi dagli architetti e dalle istituzioni di tutta Europa.

La conferenza finale del network Urbact Tutur, che ha avuto luogo a Roma presso la sede dell’Università dell’Arkansas nella Capitale, ha costituito un’occasione di confronto europeo sul tema del riuso. Le città partner del network hanno potuto confrontare le proprie esperienze di rigenerazione urbana di spazi abbandonati con quelle realizzate a Rotterdam, Berlino e Londra

 

Il riuso temporaneo è un tipo di progettazione degli spazi che permette effettivamente di aprire un dialogo tra vari stakeholders pubblici e privati, con forti vantaggi economici e sociali per i quartieri interessati. È quanto successo a Roma nel caso del Viadotto dei Presidenti, del Mercato di Viale Adriatico e della Scuola di Piazza Monte Baldo. A goderne sono tutti i residenti: i proprietari attirano gli acquirenti con gli spazi rinnovati, i residenti giovano di un’area pulita e sicura e si creano anche nuove opportunità per giovani architetti e designer.

 

Per riattivare realmente uno spazio e non solo esteriormente, è fondamentale il coinvolgimento attivo dei gruppi di supporto locale. C’è bisogno del contributo dell’intera cittadinanza, di coloro che vivono i quartieri quotidianamente: ne è convinta Emily Berwyn, designer e fondatrice dell’azienda di mediazione urbanistica Meanwhile space CIC. L’azienda, con sede a Londra, svolge consulenze ad imprenditori interessati a spazi abbandonati.

Meanwhile è un’agenzia privata: quali metodi avete strutturato per una collaborazione efficace tra pubblico e privato?

Molto spesso sono le istituzioni pubbliche a commissionarci dei lavori, ad esempio ci chiedono consigli professionali sui possibili tipi di riuso di uno spazio o di individuare il target di persone potenzialmente interessate a quello spazio. Le autorità ci dicono “qui c’è uno spazio vuoto, cosa possiamo farne?”. In altre occasioni noi siamo il ponte tra gli amministratori e i cittadini. Riusciamo a trovare le connessioni giuste per far funzionare uno spazio: alle amministrazioni foniamo le persone più adatte e sicure per un’attività continuativa, mentre alle persone diamo un servizio utile a snellire le procedure burocratiche, a visionare gli spazi, a far partire le startup. Le norme, i cavilli giuridici sono molti e sono un muro nel dialogo tra proprietari che vogliono investire e amministratori. Senza il nostro supporto il settore pubblico avrebbe gli spazi ma non le persone.

Quali sono le sfide specifiche per il riuso degli spazi in Inghilterra?

Una delle prime difficoltà che si incontrano è quella di mappare gli spazi: in Inghilterra non esiste un vero e proprio catasto pubblico dove reperire le mappe dei quartieri e degli edifici. Dunque la sfida è documentare gli spazi inutilizzati e potenziare l’open data per far sì che ogni singolo cittadino possa accedere a queste informazioni. Il problema non sono le regole, ma la condivisione delle soluzioni e delle proposte riguardo quelle regole.

Questo riguarda il processo normativo, ma le sfide sociali quali sono?

La libertà di poter usare gli spazi abbandonati. La sfida che ci siamo posti come Meanwhile space è di mettere in condizioni anche le classi sociali più deboli di poter trovare uno spazio nel quale lavorare in condivisione per esempio. Insomma, la base è il lavoro. In questo momento di crisi economica è molto importante avere la possibilità di testare un’attività per un breve periodo prima di investire soldi e per questo l’uso temporaneo degli spazi si fonde con le esigenze degli sturtupper.

Di quali risultati siete orgogliosi?

Sono contenta di quei casi in cui siamo riusciti a rendere poi indipendenti le persone. Noi troviamo il posto, mettiamo i proprietari in contatto con l’amministrazione pubblica, ma poi è bello quando se la cavano da soli. Quando si integrano con il quartiere e riescono anche a creare un network di cinque, sei attività insieme.

Quali sono secondo lei le differenze tra Londra e le città che hanno partecipato al progetto Tutur nel 2014?

Il punto di partenza. Infatti noi partiamo dalle persone. Da quello che ho potuto sentire alla conferenza finale del progetto, Tutur inizia i lavori dagli spazi. Li individua, progetta la rigenerazione, compie gli interventi e in ultimo li fa rivivere alla cittadinanza. Meanwhile space fa il contrario, ovvero trova uno spazio da riusare a persone con delle precise esigenze, che hanno un progetto ma non sanno in quale luogo realizzarlo. Questo rende le persone molto motivate a coinvolgere poi altri stakeholder locali per far funzionare la loro attività.

Tra le città partner Alba Iulia (Romania), Budapest (Ungheria), Graz (Austria), Kavala (Grecia) e Brema, città tedesca che ha puntato all’integrazione del riuso temporaneo con una progettazione a lungo termine, come spiega Oliver Hasemann, membro responsabile della rete ZZZ, ZwischenZeitZentrale a Brema, che dal 2009 in Germania supporta iniziative di riuso, come nel caso della trasformazione delle terre incolte di Hemelingen in orti urbani partecipati.

Il caso di Brema, città pilota, è tuttora un modello per le altre città europee?

Direi di sì, non tanto per i finanziamenti rinnovati ma per una qualità speciale di ZZZ: ovvero i suoi continui adattamenti. E’ un processo, un quotidiano aggiornamento. Il mio gruppo di lavoro che ha avviato e moderato il progetto è del settore privato e Brema può essere un esempio di collaborazione interdisciplinare, (tra amministrazioni locali, associazioni e anche proprietari di negozi e abitazioni) sull’attivazione di spazi vuoti, di cui la città è piena.

Se dovesse descrivere in una frase ZZZ a Brema, quale userebbe?

Noi stiamo…aiutando i cittadini ad utilizzare spazi prima abbandonati per realizzare buone idee!

Quale è stata l’evoluzione del progetto? Come si è trasformato anche il modo di rigenerare i quartieri di Brema dal 2005, anno in cui è partito il progetto, ad oggi?

Penso che la vera evoluzione sia nel modo di pensare delle persone. Intendo dire che non cambiano solo i bisogni da soddisfare in determinati spazi o il modo di usarli ma la visione di questi spazi. Adesso in Germania gli spazi vuoti sono visti come delle vere ed importanti opportunità. Diciamo che c’è più consapevolezza. E l’evoluzione degli ultimissimi anni è nel “field test”, ovvero si analizza un territorio e uno spazio già pensando alla possibilità di una rigenerazione a lungo termine, parallela al riuso temporaneo. Quello che ho potuto constatare è che qualche anno fa i giovani si innamoravano di uno spazio ma magari attivavano un riuso temporaneo anche di un solo mese, o addirittura per un unico evento. Adesso la direzione è quella di fare parte della città con un progetto che trasformi un quartiere da portatore di problemi a portatore di idee.

Quali sono le buone pratiche che invece Brema può apprendere dalle altre città partner del progetto Tutur?

Sicuramente attraverso la rete Tutur abbaimo messo in comune delle metodologie: da quali quartieri partire, su quali fasce della cittadinanza fare leva, come coinvolgere le amministrazioni, gli step per riuscire a passare dalle idee alle azioni concrete. Da Alba Iulia, che è una piccola città di provincia, ho imparato che il coinvolgimento dal basso dei gruppi di supporto locale è fondamentale per riuscire a rigenerare un quartiere, soprattutto se di periferia. Infatti, se è l’amministrazione ad imporre uno spazio, i cittadini si sentiranno sicuramente meno partecipi e in una piccola città ci si deve davvero concentrare sulle persone. Da Roma apprendo la bellezza del cibo locale al centro della rigenerazione, come nel Mercato di Viale Adriatico. Anche a Brema stiamo sperimentando un mix tra cultura e tradizioni locali enogastronomiche. Secondo me è il grande tema europeo del momento.

Trasformare luoghi inutilizzati o sottoutilizzati e restituirli al quartiere, con l’aiuto dei cittadini stessi, non solo migliorati ma anche pronti ad incrementare l’economia del territorio è quello che ha fatto Tutur a Roma, nel III Municipio con l’apertura del mercato di Viale Adriatico ad esempio. Lì il riuso urbano si mescola proprio con la tradizione enogastronomica. Una riqualificazione piacevole agli occhi, che durante il walking group del 3 marzo tutti gli stakeholder europei hanno potuto sperimentare.

Rendere i pedoni protagonisti dell’uso degli spazi urbani è importantissimo anche secondo Jeroen Laven, business manager del team Stipo, che da anni lavora sullo sviluppo urbano di Rotterdam.

Che percorso ha fatto la riqualificazione dei luoghi pubblici a Rotterdam?

Lavoro per Stipo da diversi anni e ogni tre mesi discutiamo degli argomenti importanti da trattare, anche a livello politico e il tema del riuso si è imposto all’attenzione di tutte le istituzioni che contano in città. E l’evoluzione è nel senso comune di utilità per il quartiere e la città. Ovvero ci si deve sempre chiedere: questo intervento su questo spazio abbandonato, migliorerà il territorio, quale valore aggiunto riuscirà ad apportare? Rotterdam appena sei anni fa aveva degli interi quartieri “fantasmi” che erano però attaccati al centro cittadino. Quindi c’era una grande cesura tra le due facce urbane, mentre ora si è riusciti a renderle più vivibili entrambe. I progetti di riqualifica pensati dieci anni fa finalmente hanno cominciato a prendere vita.

In particolare, con Stipo cosa fate nel campo della rigenerazione urbana?

E’ una delle nostre attività principali insieme a quella di mediazione, di progettazione e di policy maker. Sono orgoglioso soprattutto del libro realizzato due anni fa: una raccolta di buone pratiche per il riuso delle abitazioni, in particolare dei primi piani, dell’altezza della strada. E abbiamo avuto un grande successo, perché le idee si sono trasformate in fatti reali con molti proprietari di abitazioni e negozi hanno seguito i nostri esempi.

Questo concetto del livello zero, il piano terra lo definite “city at eye level”. Può essere questo un punto di partenza per riqualificare prima interi palazzi e successivamente tutta la città?

L’idea è che se il livello degli occhi è progettato in modo esteticamente bello e funzionale, porterà al quartiere più vita culturale e sociale e maggiore sicurezza. Di conseguenza verranno attivate delle reazioni a catena di riqualificazione anche dagli altri “livelli”, gli edifici per mantenere uno stile uniforme si impegneranno a rispecchiare il primo piano. Negli anni è diventato un accordo territoriale: ogni proprietario dei primi piani ha l’obbligo di avere dei buoni progetti da presentare. Per esempio predisporre un’entrata fatta con dei materiali di vetro e i proprietari di un esercizio culturale sono sempre d’accordo ad essere più visibili. O ancora, un ordine prestabilito della costruzione e un’attività in linea con questa progettazione. Il concetto di “City at eye level” è uno strumento per far ripartire la città, dando valore alla bellezza, creando una community.

 

Veronica Di Benedetto Montaccini
@veronicadbm