L’architettura della città

E’ la costruzione della città nel tempo, la sua forma e il suo rapporto con il territorio il filo conduttore del libro di Aldo Rossi “L’architettura della città” edito da Quodlibet Abitare. In questa riedizione del volume l’autore passa in rassegna i concetti di locus e forma urbana per poi tracciare un quadro della storia della città e del suo legame con i fenomeni sociali e politici. “La città oggetto del libro viene intesa come una architettura.

 

Parlando di architettura non intendo rifermi solo all’immagine visibile della città e all’insieme delle sue architetture; ma piuttosto all’architettura come costruzione. Mi riferisco alla costruzione della città nel tempo”, specifica l’autore. E’ a partire da questa premessa che va letto ed interpretato il libro.

I “fatti urbani”, come li definisce l’autore, ovvero strade, quartieri, palazzi, vengono spesso concepiti come opere d’arte perché “tutte le grandi manifestazioni della vita sociale hanno in comune con l’opera d’arte il fatto di nascere dalla vita incosciente”. Ma le città, rispetto alle opere d’arte, sono allo stesso tempo riconducibili sia all’elemento naturale che artificiale, oggetto di natura e soggetto di cultura. Una visione rintracciabile già in Carlo Cattaneo che non distinse mai, sottolinea Rossi, tra città e campagna, perché entrambi i fatti urbani vanno concepiti come opera e fatica dell’uomo.

Questo filone interprativo dei fatti urbani apre la strada allo studio della struttura e dunque dell’architettura della città stessa. Già nell’età del bronzo gli uomini adattarono il paesaggio alle necessità sociali costruendo delle isole artificiali di mattoni e scavando pozzi, così come nei villaggi neolitici dove il territorio viene trasformato e adattato alle necessità degli uomini. E’ ciò che gli studiosi chiamano “tipo” in architettura, ovvero “l’idea di un elemento che gioca un proprio ruolo nella costituzione della forma”. Le città sono state nel tempo classificate e associate a delle funzioni principali, una su tutte le funzioni commerciali. Ma l’autore ritiene che sia riduttivo ricollegare e classificare i fatti urbani in base all’organizzazione delle funzioni svolte. Critica pertanto il cosiddetto “funzionalismo ingenuo” risalente già a Malinowski, in quanto “se i fatti urbani sono un mero problema di organizzazione essi non possono presentare né continuità né individualità”, i fatti urbani non sono semplici prodotti di consumo. La città pertanto è strettamente collegata alla storia, è depositaria della storia e della memoria collettiva. Partendo dalla tesi di Halbwachs Rossi ritiene che la città sia essa stessa memoria collettiva dei popoli, e “come la memoria è legata a dei fatti e a dei luoghi, la città è il locus della memoria collettiva”.

La memoria collettiva diventa la trasformazione dello spazio ad opera degli uomini e in questo l’architettura dei fatti urbani si stacca dall’arte in quanto elemento che esiste di per se stesso. La città così intesa ha le sue origini in Grecia. Atene è la prima idea chiara di scienza dei fatti urbani, è “il passaggio dalla natura alla cultura”. Se Roma dunque ha saputo offrire i principi dell’urbanesimo e gli schemi logici di costruzione è in Grecia che rileviamo i fondamenti della costituzione della città.