Resoconto sulla presentazione del Rapporto Ifel 2008

I bilanci dei Comuni italiani sono migliorati dopo circa un decennio di trend in rosso, tuttavia le amministrazioni comunali sono chiamate oggi ad uno sforzo troppo oneroso per il risanamento dei conti statali.
Questo è quanto emerge dal Rapporto Ifel presentato a Roma il 3 dicembre.

Lo scorso anno l’avanzo di bilancio dei Comuni è stato di 4,5 miliardi di euro, pari al 10% del totale delle spese comunali correnti, in miglioramento dal 2002.
I Comuni sono “l’unico comparto della pubblica amministrazione ad aver raggiunto tale risultato ad oggi”, viene sottolineato.
Il miglioramento è evidente anche considerando i bilanci comunali al netto dei trasferimenti ricevuti da altri livelli di governo.
Il contributo al risanamento dei conti pubblici offerto dai Comuni, afferma lo studio, è stato realizzato attraverso “l’utilizzo limitato della leva fiscale ma soprattutto attraverso il massiccio controllo della spesa”.

Di fronte al comportamento decisamente virtuoso dei Comuni, la recente programmazione di bilancio in Finanziaria “si pone in modo contraddittorio, poiché ne riduce l’autonomia tributaria, impone uno sforzo superiore al peso di comparto e risulta poco coerente con la necessità di sviluppo, visto il taglio imposto agli investimenti”.
In considerazione di una riduzione complessiva del deficit di circa 1,6 punti percentuali in rapporto al Pil, lo studio Ifel rivela come “ai Comuni sia richiesto uno sforzo pari a circa un quarto di tale ulteriore risanamento, ben superiore al peso relativo di comparto, pari invece a circa il 7%”.
Un dato aggravato dal fatto che questo aggiustamento deve operare sul versante della spesa e che, per circa metà, la contrazione della spesa interesserà inevitabilmente quella per gli investimenti.

La riduzione delle risorse proprie potrebbe significare per molti Comuni “livelli di indebitamento superiori al 200% delle entrate proprie correnti, una soglia ritenuta a rischio per la sostenibilità del debito”. Ed in virtù della definizione della soglia di rientro del debito, il Ministero dell’Economia e delle Finanze si appresta a varare “risorse aggiuntive per smaltire le proprie posizioni debitorie – sottolinea il Rapporto Ifel – creando ulteriori pressioni sui bilanci dei Comuni e sulla tenuta dei servizi locali”.

Quanto all’Ici sulla prima casa, che per l’insieme dei Comuni ammonta a circa 3,3 miliardi (stima 2006), l’abolizione “genera un taglio del 7% delle entrate correnti (solo in parte compensato da trasferimenti erariali) e comunque del 13% di quelle tributarie”.
Una decurtazione che avrà “inevitabilmente un impatto negativo sull’autonomia tributaria dei Comuni riducendola di circa cinque punti percentuali”.

L’effetto prevalente della manovra economica è quello della “riduzione generalizzata dell’autonomia tributaria di tutti i Comuni e un riavvicinamento a un sistema di finanza locale derivata, in contrasto – si legge nel Rapporto – con la tendenza federalista iniziata con la riforma del Titolo V della Costituzione”.
Secondo l’ANCI, i limiti imposti dal Governo ai Comuni su ricorso alla leva fiscale per correggere gli squilibri di bilancio, è caratterizzato “da un’iniquità di fondo”.
In particolare, il blocco delle aliquote imposto dal Governo renderà assai difficile una programmazione efficace e coerente della gestione del bilancio comunale.

Tutte conseguenze in contrasto con l’attuazione del federalismo fiscale che punta invece a dare maggiore autonomia tributaria e finanziaria agli Enti locali e ad una più grande responsabilizzazione in vista del pareggio di bilancio.

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