Bollettino Urbact – Marzo 2013

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Report speciale sul progetto Wood Footprint – dagli Showroom in disuso allo sviluppo economico delle città

altMolte delle città europee che un tempo godevano di una prospera industria di mobili in legno si ritrovano oggi paesaggi urbani contaminati da edifici di notevoli dimensioni ormai inutilizzati che hanno chiuso i battenti a causa della crisi. Obiettivo del nuovo progetto europeo Wood Footprint, cui partecipano dieci partner appartenenti a nove diversi paesi europei, è il riciclo sostenibile e innovativo di questi edifici, stimolando al contempo il risveglio economico delle città. Approvato il progetto per la fase di implementazione, scopriamo come i partner di Wood Footprint stanno affrontando l’argomento e qual è la situazione nelle loro città.

Il boom economico dello scorso secolo aveva fatto esplodere il mercato dell’arredamento per la casa, di conseguenza, molte imprese manufatturiere del legno si aprirono al commercio al dettaglio, allestendo enormi spazi espositivi in giro per L’Europa. Gli edifici erano pratici e spesso poco accattivanti dal punto di vista estetico. Una volta che il mercato si è drasticamente ridotto a causa della recessione e della caduta della domanda, questi edifici non sono più solo esteticamente sgradevoli, ma rappresentano ormai lo sconfortante ricordo di una prosperità passata e il simbolo di una decadenza urbana.

Una città di edifici fantasma
“avevano dimensioni tanto estese perchè i mobili hanno bisogno di grandi spazi” spiega Rui Coutinho, communication officer del capofila, la città di Paços de Ferreira (Portogallo). La cittadina, la cui economia si basa per l’85% su questo mercato e che è conosciuta come la capitale portoghese del mobile, è stata direttamente colpita dal problema. “Con la crisi economica alcuni di questi edifici immensi sono rimasti mezzi vuoti o completamente abbandonati, cosa che ha implicato il problema che ci troviamo ad affrontare oggi, quello delle costruzioni fantasma. “Al momento a Paços de Ferreira ci sono più di 100.000 mq di strutture vuote.“ L’abbandono degli stabilimenti si trascina dietro gravi conseguenze, tra cui, oltre alla disoccupazione, lo sviluppo di quartieri degradati e fatiscenti. Il Comune è ostacolato nella ricerca di una situazione dal fatto che questi edifici sono di proprietà privata. La questione da risolvere è dunque la seguente: come convincere i proprietari dell’importanza di “riciclare” gli edifici e come stimolare con questa operazione sviluppo economico e occupazione?

Un progetto verticale con implicazioni più profonde
Paços de Ferreira non è l’unica città che si è dovuta confrontare con questo genere di problematiche. Altri nove Comuni europei con una tradizione nel mercato manufatturiero del legno hanno condiviso difficoltà e obiettivi durante la prima fase del progetto, avvenuta nel corso del 2012. Il progetto Wood Footprint è stato approvato per la sua fase di implementazione il 28 gennaio 2013.
È una iniziativa che può essere definita verticale piuttosto che orizzontale, nel senso che riguarda direttamente solo le realtà che svolgono un ruolo chiave in questo specifico settore industriale, ma con implicazioni più profonde che mirano alla rigenerazione urbana del territorio e allo sviluppo economico locale. Durante l’incontro tra i partner per l’avvio del progetto, tenutosi a Paços de Ferreira tra il 13 e il 15 marzo, si è creata la prima rete di contatti.

Le dieci città partner
Il progetto ha coinvolto due realtà locali Italiane del Salento: il Comune di Sternatia (LE), 3.000 abitanti, nel quale fortunatamente il mercato del mobile in legno resiste e i commercianti continuano ad utilizzare grandi spazi per la vendita diretta, e Lecce, maggiormente rappresentativa della difficoltà in cui versa il settore. Sternatia avrà il ruolo di “laboratorio” del progetto e su di essa si sperimenteranno le soluzioni proposte su altri territori, evitando di replicarne gli errori.
Altre realtà locali del Sud d’Europa colpite dalla recessione che partecipano al progetto sono il Comune di Larissa in Grecia, una cittadina di 200,000 abitanti, dove molti produttori di mobili hanno chiuso la propria attività, licenziando i propri dipendenti e puntando alla diversificazione della produzione. La stessa sorte ha subito Yecla, nella regione di Murcia in Spagna, che ospita una fiera del mobile conosciuta a livello internazionale.

Spostandosi nella regione baltica, è partner del progetto Tartu, seconda città per numero di abitanti dell’Estonia, città che ai tempi dell’Unione Sovietica ospitava il più grande impianto industriale statale per la produzione di mobili dell’URSS. Ora gli immensi edifici e i quartieri che erano nati intorno sono per lo più abbandonati.

La cittadina di Roesalare, nella regione fiamminga del Belgio, dove l’azienda produttrice della birra Rodenbach utilizzava barili di legno, ha lasciato un’eredità di vecchi edifici da riciclare. Nella regione di Monaghan in Irlanda c’è una grande coltivazione di piante finalizzate alla produzione di mobili.
Nel Regno Unito, è partner del progetto il distretto di Wycombe, che ospita dal 2010 la Scuola nazionale del Mobile. La cittadina sta cercando di diversificare la sua tipica produzione di mobili su misura per incoraggiare la crescita economica.
Altro partner è Viborg, in Danimarca, che negli ultimi anni ha subito un certo declino e sta spostando la propria attenzione verso il mercato dell’high tech e dei nuovi media.

Le cinque tematiche e le città che ne sono referenti
Ogni partner del progetto è stato individuato come referente per una tematica chiave del progetto:
• Aree industriali e crescita (High Wycombe)
• Diversificazione (Monaghan)
• Strutture abbandonate (Viborg)
• Competenze dei lavoratori e occupazione (Yecla)
• Partnership tra pubblico e privato (Paços de Ferreira)
I partner hanno una visione aperta rispetto alle possibili soluzioni: prenderanno in considerazione ogni possibilità, dall’abbattimento degli edifici al riciclo, trasferendo, se è il caso, i produttori in nuove zone industriali. A Tartu, ad esempio, si sta studiando la possibilità di trasferire gli archivi del Comune in uno stabilimento industriale abbandonato, mentre a Paços de Ferreira è in atto una collaborazione con l’università per adattare un edificio un tempo utilizzato come showroom a centro di design del mobile.

Il fenomeno Ikea
Il successo del gruppo Ikea ha cambiato la fisionomia dell’industria del mobile delle ultime decadi. Hanno aperto in tutta Europa negozi che mettono a disposizione mobili economici e di gusto al posto di un arredamento dallo stile più classico. Secondo Rui Coutinho i produttori tradizionali non dovrebbero considerare il fenomeno Ikea come una minaccia, ma anzi come una risorsa per lo sviluppo del territorio. Proprio a Paços de Ferreira si trova il più grande stabilimento Ikea del Sud Europa, che offre lavoro a 1.500 persone. Il gigante svedese è stato coinvolto nel progetto Wood Footprint avendo tra l’altro sviluppato una preziosa esperienza di riciclo di antichi stabilimenti industriali statali in Polonia.
“Vogliamo che gli attori del mercato del mobile imparino da questo modello, che non ha come obiettivo quello di rimpiazzare i prodotti locali”, così Rui “Ikea sta subappaltando la produzione dei mobili agli imprenditori locali. I tradizionali protagonisti del mercato del mobile non sono più spaventati dal successo di Ikea, ma si sono seduti allo loro stesso tavolo per far fronte a problemi comuni. È nostro intento stimolare sempre di più questa collaborazione.”

Prossimi passi di un progetto dal basso verso l’alto
Le città partner hanno programmato una serie di incontri transnazionali nel corso dei prossimi 27 mesi di attività del progetto. Il prossimo incontro si terrà a ottobre 2013, nella cittadina di High Wycombe. Spiega Rui: “Sarà un progetto dal basso verso l’alto, il lavoro inizierà a livello locale e questo sarà l’elemento più importante. Alla fine cercheremo di capitalizzare le diverse esperienze e nel corso di ulteriori sei mesi dalla fine del progetto completeremo l’elaborazione dei Piani di Azione Locali, così che ogni stakeholder potrà indicare chiaramente i problemi e le migliori soluzioni per il proprio contesto territoriale.”
Gli altri quattro incontri transnazionali saranno: marzo 2014, Monaghan, tema diversificazione; giugno 2014 Viborg, tema edifici abbandonati; ottobre 2014 Yecla, tema competenze e occupazione; aprile 2015, Paços de Ferreira (conferenza finale), tema Partnership tra pubblico e privato.

Per saperne di più:
Wood Footprint – dal sito Urbact

L’Austria va in bici al lavoro. E tu?

alt‘Ich Radel Zur Arbeit’, o “Io sto andando al lavoro in bici” tradotto in italiano, è lo slogan di una iniziativa di successo portata avanti dalla città di Weiz, in Austria, per incoraggiare l’uso dei mezzi di trasporto leggero e allo stesso tempo contribuire alla salute dei suoi abitanti. L’esperienza del Comune di Weiz è stata condivisa nel corso dell’Active Travel Network, un progetto Urbact, cui hanno partecipato nove città europee con l’obiettivo di gestire i problemi legati al traffico e al trasporto nelle città di media grandezza, promuovendo il trasporto leggero.

A Weiz tra il 40 e il 70% degli impiegati abita a meno di 5 km dal lavoro
Era evidente che i responsabili della congestione del traffico quotidiano della città a Weiz fossero i cittadini che si recavano sul posto di lavoro. Le autorità cittadine hanno stimato che tra il 40 e il 70% dei lavoratori abitava a meno di 5 km di distanza dal posto di lavoro e hanno considerato che questa distanza avrebbe potuto essere percorsa in bicicletta senza troppi problemi. Questo significa che le biciclette avrebbero potuto diventare il principale mezzo di trasporto dei lavoratori di Weiz.

“Al lavoro in bici” un principio semplice: tutti i ciclisti sono vincitori
altL’iniziativa “Al lavoro in bici” è semplice ma efficace. Prevede una competizione di due mesi, durante i quali due colleghi formano una squadra, usano il più possibile la bicicletta per andare al lavoro e utilizzano una tessera per registrare tutti i tragitti. E’ dunque una iniziativa che stimola lo spirito di squadra e di competizione. Dopo due mesi tutte le squadre che sono andate al lavoro in bici per più della metà dei loro giorni lavorativi ricevono un premio, dopo aver preso parte a una celebrazione formale. I premi sono sponsorizzati dalle aziende che hanno deciso di aderire al progetto. L’iniziativa “al lavoro in bici” è completamente volontaria ed è ormai attiva nella cittadina di Weiz dal 2007.

L’Austria va in bici al lavoro: è come andare in bicicletta intorno all’equatore per 32 volte
Nel 2012 l’iniziativa è stata estesa con lo slogan “Österreich radelt zur Arbeit!” (l’Austria va in bici al lavoro).
Più di 8.000 ciclisti di 2.000 aziende e istituti hanno coperto una distanza di circa 1.3 milioni di km che significa che hanno coperto 32 volte la lunghezza dell’equatore. Questi ciclisti hanno risparmiato al nostro pianeta circa 209 tonnellate di diossido di carbonio e alle loro tasche circa 606mila euro di benzina. Pedalare ha anche effetti positivi sulla salute dei ciclisti: gli 8mila lavoratori in bici hanno fatto risparmiare alle loro aziende circa un milione di euro di costi annuali di staff in malattia. Come mostra questo esempio, andare in bici al lavoro ha molti effetti collaterali positivi. Tocca a te adesso pedalare!

Dal blog di Urbact
di Barbara Kulmer, Weiz

Come possono le città aiutare i giovani attraverso l’innovazione sociale?

 

altLe città sono ricche di opportunità per i giovani. Sta di fatto che la transizione verso l’età adulta non è sempre un processo regolare e l’attuale crisi della disoccupazione giovanile rischia di far crescere il numero di giovani inoccupati nelle nostre città. Eddy Adams, Urbact Thematic Pole Manager on Active Inclusion e Robert Arnkil, Lead Expert del progetto Urbact My Generation at work, affrontano la questione nel loro recente articolo “How Can Cities support Young People Though Social Innovation?” pubblicato nell’ultimo numero di Urbact Tribune. L’articolo fa riferimento al gruppo di lavoro “Supporting young people through social innovation”, testimonianza dei modi in cui le città stanno rispondendo alla “questione giovanile”. Nello specifico, il documento analizza il concetto di innovazione sociale e le opportunità che le città possono offrire rispetto alla promozione della partecipazione civica tra i giovani.

La sfida dei giovani nella città coesa
Gli autori spiegano che l’aumento dei tassi di disoccupazione giovanile in gran parte dell’Europa ha spinto verso timori di una “generazione perduta”. Negli stati membri con economie più stabili, la disoccupazione giovanile è in aumento in molte città, risulta infatti raddoppiata al 6,7% a Copenhagen mentre si attesta al 13% a Berlino. Nelle città del sud la situazione è più grave, ad esempio a Barcellona, dove il 35% dei giovani è senza lavoro.
Ma la crisi giovanile che le città stanno affrontando non è nuova. I dati mostrano che durante gli anni di crescita, una persistente minoranza di giovani era fuori dal mercato del lavoro e slegata dal resto della società. Secondo Eddy Adams e Robert Arnkil, questo suggerisce l’esistenza di profondi problemi strutturali collegati alla transizione dalla giovinezza all’età adulta.

Le scelte della città e il ruolo dell’innovazione sociale
Cosa possono fare le città in risposta a questa situazione? Molte città stanno continuando ad agire come prima, solo con meno risorse, perseguendo una politica di gestione dei tagli. Tuttavia, un crescente numero di città vede la necessità di rispondere in modo più marcato al problema. In alcuni casi, il cambiamento radicale comporta un approccio top-down. Ad esempio, nel quartiere berlinese di Marzahn, il nuovo sindaco ha introdotto un impegno a ridurre la disoccupazione giovanile allo 0% tra il 2013 e il 2016. All’estremo opposto, stanno prendendo slancio attorno alle città in cerca di lavoro nuovi modelli collaborativi con soggetti privati, comunità e una più ampia gamma di fornitori di servizi molto in linea con il modello Urbact, che sottolinea l’approccio del partenariato pubblico-privato. Oltre alla riduzione dei bilanci pubblici, i driver dietro questo modello includono l’impegno crescente verso la progettazione di servizi ad hoc per gli utenti, in particolare rispetto al supporto per i residenti più vulnerabili. Nell’articolo si dice che il termine generico di “innovazione sociale” è sempre più usato per descrivere questa gamma eclettica e organica di sviluppi, anche se variano le interpretazioni del termine.
La Commissione europea sta fortemente promuovendo l’innovazione sociale come una componente fondamentale per la ripresa dell’Europa. La progettazione, lo sviluppo e la realizzazione di nuovi servizi ci indirizza verso le nostre più grandi sfide – invecchiamento della popolazione, mancanza di lavoro, isolamento dei giovani – ampiamente riconosciute come una priorità fondamentale.

La risposta della città
Secondo gli autori dell’articolo l’innovazione sociale comporta un processo di ricerca e di sviluppo collaborativo. Non c’è un unico schema che può essere applicato nelle città.
Le attività del gruppo di lavoro Urbact suggeriscono che ci sono caratteristiche comuni tra le città che sono coinvolte nella spinta verso questa agenda del cambiamento che include:
1. Nuova leadership civica,
2. Mobilitare persone e risorse,
3. Costruire nuove partnership.

Esempi di città con un nuovo approccio collaborativo come Copenhagen o Rotterdam sono descritte in dettaglio nell’articolo.

Per saperne di più:
How Can Cities support Young People Though Social Innovation? – Articolo integrale – PDF – dall’Urbact Tribune
Urbact 2012 Tribune – PDF