La megalopoli italiana

Si è tenuta il 18 maggio a Milano presso la Triennale, la Lecture di Massimiliano Fuksas dal titolo Caos Sublime 2, che riprende alcune riflessioni già presenti nel primo volume, in cui l’architetto affronta con Paolo Conti, una serie di temi cruciali che spaziano dalle megalopoli che crescono a dismisura alla scomparsa delle campagne; dalla condizione delle periferie all’abusivismo; dai musei investiti dalle esigenze della cultura di massa alla tutela dei centri storici e al futuro delle università.

Caos Sublime, titolo–manifesto, ripreso dall’omonimo libro del 2001 rappresenta per l’autore lo spirito e la poetica dell’architettura e del mondo moderno.

L’Italia, sono le considerazioni di ogni giorno, non è del tutto compatta ed omogenea nelle proprie caratteristiche strutturali e sociali, è l’insieme di tanti soggetti, tanti progetti per altrettante città.
Un fenomeno complesso soprattutto nell’organizzazione territoriale connotata da componenti stabili come la pluralità, la relazionalità, la consistenza, l’identità, l’interattività, ma anche da tante variabili riferite espressamente ai nodi, ai territori, in base ai caratteri che specifiche esplorazioni consentono di rilevare. E a questo proposito vi è una rilevante frammentazione amministrativa che causa disomogeneità e diventa un serio ostacolo nel momento in cui dovrebbero invece essere colte le reali opportunità di sviluppo.

La “città diffusa” è teorizzata in Italia nella seconda metà degli anni Novanta interpretando la strutturazione dello spazio del Nord-Est (un concetto diverso rispetto al policentrismo), è la fuoriuscita, un dinamismo centrifugo verso territori esterni, oltre i confini tradizionali della città “densa” o della città cosiddetta lineare, è un indistinto urbano fatto di nuove centralità, nuovi nodi, ma soprattutto un nuovo concetto di residenzialità, in cui all’urbano “privato” delle abitazioni non corrisponde un relativo urbano “pubblico”.

Anche l’idea di megalopoli italiana quindi, seppur a fatica si sta facendo largo nell’attuale dibattito presentando se stessa con connotazioni diverse da quella di altri Paesi, intendiamo territori fortemente urbanizzati, ma “senza città”, ovvero forme indistinte di “città di mezzo”.
Ed è il processo di rilocalizzazione della produzione e delle imprese al di fuori della città compatta, cui si è coniugato un esodo crescente di tanti cittadini verso i centri periferici di erogazione di servizi, che ha progressivamente generato una “città non città”, dove ad esempio, alla necessità conseguente di mobilità veicolare, talvolta, non ha fatto riscontro un’attenta valutazione della qualità complessiva dell’ambiente di vita.

La megalopoli padana è anche il titolo del libro del geografo Eugenio Turri che sostiene come la terra padana rappresenti di fatto un’unica grande città, un’ininterrotta formazione urbana. Gli spazi che un tempo erano ritagliati intorno a tante città e paesi, da siepi e fiumi, oggi non esistono più: sono stati unificati dalle trasformazioni avvenute nella seconda metà del secolo appena trascorso.
Questo non vuol dire che la megalopoli padana sia compatta o senza frammentazioni interne. È un sistema di città tra loro legate a rete alla cui formazione si devono ricondurre i continui flussi migratori, le nuove complesse relazioni sociali, la produttività, oltre che le diverse concentrazioni abitative che oggi pur comprendendo metropoli come Milano si trova nella necessità di ridistribuire verso altri nodi.

Fonte: www.triennale.it
Per approfondimenti
Cfr. T. Sieverts, Cities Without Cities: an interpretation of the Zwischenstadt, 2002