Innovazione urbana, a Riga il City Festival di Urbact

Trasformare Riga nella capitale europea dell’innovazione urbana seppur per pochi giorni non è impresa facile ma le storie e le esperienze di oltre 400 tra funzionari, esperti e amministratori locali europei sono riuscite nel corso dell’Urbact Festival a restituire uno spaccato di quanto prodotto negli ultimi anni del programma in Europa.

L’evento ha rappresentato un momento di passaggio decisivo tra la vecchia e la nuova programmazione di Urbact, contribuendo ad evidenziare gli elementi più innovativi in termini di metodologia e conoscenze applicate da replicare in città e regioni europee nei prossimi anni. La forza dello scambio sta soprattutto nell’analisi partecipata dei benefici che la partecipazione al programma ha portato alle varie città: un elemento decisivo in una fase di passaggio come questa, nella quale la capitalizzazione delle esperienze già realizzate lascia il passo a nuovi progetti realizzati sul territorio a partire proprio dai temi e dalle sperimentazioni rilanciare da Urbact.

Particolarmente significativa l’esperienza di Torino, che con My Generation At Work ha rafforzato quell’azione di promozione dell’innovazione sociale già particolarmente avvertita nella Detroit d’Italia, quella Torino che ha basato buona parte della sua azione urbana negli ultimi anni nella riconversione della sua natura urbana ed economica. All’azione di Torino Social Innovation, che a partire dall’amministrazione comunale ha promosso attraverso progetti come FaciliTO e InnovaTO l’innovazione sociale a più ampio livello dentro e fuori l’amministrazione, si aggiungono ambiziosi progetti come il Centro per l’Open Innovation, che a partire dalla seconda metà dell’anno contribuirà ancora di più a posizionare Torino tra le capitali del settore in Europa. Fabrizio Barbiero è tra coloro che all’interno dell’amministrazione comunale di Torino ha promosso la realizzazione e la messa in rete tra queste diverse iniziative, fornendo un valore aggiunto per il futuro delle iniziative di innovazione in città a partire dall’esperienza di Urbact

Attraverso la partecipazione a My Generation at work Torino ha potuto confrontare le sue traiettorie di sviluppo con Rotterdam e altre città europee che a partire dal livello municipale stanno promuovendo l’innovazione sociale. Qual è stato il valore aggiunto che ha portato il lavoro svolto nell’ambito del progetto Urbact nella città e nell’amministrazione?

Lo scambio di esperienze e di buone prassi, la possibilità di lavorare per un paio d’anni con città diverse già da tempo attive sul tema dell’occupazione giovanile e dell’imprenditorialità con progetti innovativi sono elementi che ci hanno permesso di entrare in contatto con delle esperienze davvero incredibili. Tutto ciò ci ha aiutato a ridisegnare anche la nostra visione delle politiche e dei servizi pubblici nel senso che abbiamo percepito che ci sono altre strade che si possono percorrere magari con tempi diversi. Ciò stimola il fatto che sia possibile anche a Torino replicare esperienze e iniziative messe in campo da altre città in contesti diversi. Senza dubbio la partecipazione a Urbact ha rappresentato un’ottima occasione per fare il punto della situazione e per creare nuovi servizi.

Nel vostro contesto locale le iniziative già in campo sul fronte dell’occupazione giovanile e dell’innovazione sociale erano già numerose e attive in vari campi. Come si è legato il vostro impegno in My Generation at Work anche ad altri progetti e iniziative in cantiere o già in corso di realizzazione a Torino?

Il fatto che si lavorasse tutti sullo stesso tema ha agevolato enormemente il trasferimento delle conoscenze tra un ambito e un altro. Questo si è agganciato a quello che già stavamo facendo anche noi su diversi fronti come il riuso degli spazi in un’ottica che potesse stimolare certe imprenditorialità in settori come quelli creativi e digitali. E’ stata un’evoluzione abbastanza naturale perché poi abbiamo scoperto che altre realtà stavano lavorando sullo stesso tema e allo stesso momento e ciò è stato molto interessante. Quando abbiamo iniziato a lavorare sul centro di open innovation abbiamo fatto tesoro di esperienze che stanno realizzando città nel quadro di altre partneship e ciò ci ha sicuramente spinto a insistere su certi argomenti. Il nostro impegno in questo quadro ci ha fatto capire di non essere gli unici in Europa ad aver investito su queste tematiche anche se al momento eravamo i primi in Italia, e ciò sicuramente ha contribuito all’unicità della nostra esperienza.

Il vostro impegno seguito al progetto ha consentito ulteriormente di caratterizzare Torino come capitale dell’innovazione sociale in Italia, un elemento anche di particolare rilevanza per il brand urbano di una città che ha gradualmente evoluto la sua natura di città industriale in città dell’innovazione. Come pensate che ciò, a partire da Urbact, possa proseguire nella vostra esperienza in città?

Il vantaggio di stare in questa iniziativa è che ci ha accompagnato in un processo che era già in atto, ovvero investire su delle tematiche che nel tempo potevano diventare dei driver economici per tutto il territorio come i campi dell’innovazione sociale e dell’open innovation. Non si tratta di un processo che si esaurisce con i tempi del local action plan di Urbact ma prosegue con un suo sviluppo capace di accompagnare ulteriormente uno sviluppo che era già in fase di avvio. Da questo punto di vista l’eredità del progetto Urbact è stata già acquisita e valorizzata dalla città e speriamo che da quella che è stata anche un operazione di marketing territoriale si possa andare nella direzione di costruire una vera e propria azione di policy che porti Torino a diventare uno dei posti migliori dal punto di vista dell’ ecosistema dell’innovazione sociale.

Per i temi affrontati e per il taglio dato alle azioni di progetto, il vostro network è stato tra i pochi che soprattutto a livello locale ha coinvolto attivamente i giovani, a partire dagli studenti delle scuole del territorio. Ciò ha rappresentato non solo un elemento di unicità ma anche di grande prospettiva per un progetto che punta proprio a creare le condizioni per una piena e maggiore occupabilità nei contesti urbani considerati. In che modo intendete proseguire questo rapporto con gli studenti del territorio e come intendete coinvolgerli in future iniziative riguardanti i temi dell’innovazione sociale?

Noi ci auguriamo davvero che il rapporto con gli studenti possa continuare. Abbiamo coinvolto attivamente ragazzi che sono al liceo, e favorirne un coinvolgimento attivo è sempre un tema estremamente delicato perché c’è il rischio che si sentano utilizzati. Con loro abbiamo fatto prima un percorso di avvicinamento a queste tematiche: siamo andati nelle scuole e gli abbiamo presentato il tema dell’innovazione sociale, preparando così assieme i workshop a cui hanno partecipato. La cosa impressionante che abbiamo notato è il livello di attenzione enorme nel workshop: c’è molto interesse a vedere effettivamente cosa stava succedendo in città e in Europa in termini di esperienze di innovazione sociale con l’ideazione di nuovi servizi e nuovi modi di pensare il rapporto tra pubblico e privato che a quell’età ci ha francamente colpito e che rappresenta un patrimonio assolutamente da non disperdere.

Da Nord a Sud, l’esperienza di Urbact ha aperto la strada ad una serie di progetti ulteriori capaci di rafforzare l’applicazione del metodo partecipativo promosso dal Programma come chiave per lo sviluppo della sostenibilità urbana, economica e sociale. Siracusa rappresenta un altro esempio eccellente di come la partecipazione a Urbact sia riuscita con Genius Open ad aprire la strada a sfide e principi come quelli dell’Open Innovation mutuati da tradizioni di governance locale, come quelle britanniche, apparentemente lontanissime dalla Sicilia. Eppure la promozione di nuove forme di engagement civico in aree difficili come quella della Mazzarrona sta facendo scuola non solo a Siracusa ma anche nel resto della Sicilia, con la promozione di attività e iniziative aventi per oggetto l’individuazione di sfide e modalità partecipative per la sua risoluzione attraverso nuove forme di collaborazione tra cittadini e governo locale. Caterina Timpanaro ha raccontato a Riga i contorni dell’esperienza messa in campo in una periferia difficile, che ha fatto da base per un’estensione dei modelli partecipativi attraverso l’empowerement degli abitanti, che hanno potuto grazie al progetto stabilire una nuova forma di relazione con un’amministrazione locale fino a quel momento avvertita come lontana e inefficace per i bisogni di una periferia così difficile.

Che risultati ha prodotto e in che modo sta proseguendo l’azione di Genius Open a Siracusa?

A parte quelli meno misurabili e visibili in termini di rapporto tra associazioni di quartiere coinvolte, Genius Open ha avuto ricadute effettiva sull’intero contesto urbano, promuovendo un approccio di collaborazione costante anche in altri ambiti della città. L’iniziativa ha avuto grande visibilità e nel corso dei mesi abbiamo raccontato questa esperienza anche in altri contesti siciliani come la Summer school del Simeto. Più concretamente c’è stata in città la firma del protocollo d’intesa per la gestione condivisa di una scuola del quartiere della Mazzarrona che diventa Casa dei cittadini, uno spazio a disposizione dei residenti restituito alla città proprio grazie allo sforzo propulsivo seguito a Genius Open. Al momento sono al lavoro le associazioni con i gruppi di residenti per decidere le finalità di questa casa che si inaugurerà a settembre e rappresenterà un punto fermo della rinascita del quartiere. L’altra derivazione diretta del progetto è stata la trasposizione di parte della progettualità di Genius Open nell’ambito del bando Anci Meet Young Cities, nel quale abbiamo ottenuto un ottimo risultato. Stiamo provvedendo inoltre alla realizzazione di orti urbani con dei laboratori propedeutici che vedono come partner l’università di Catania e il movimento degli Orti di Pace in Sicilia e la Facoltà di Agraria, con laboratori all’interno della Casa dei Cittadini e la realizzazione degli orti attraverso la messa in bilancio di una somma specifica da parte dell’amministrazione comunale. Si tratta non solo di progetti che stanno intervenendo sugli spazi pubblici ma anche sugli aspetti culturali della zona in esame. Durante la giornata del decoro i bambini del Quartiere della Mazzarrona hanno accompagnato 200 bambini provenienti da altri quartieri della città attraverso la bellezza del quartiere nelle parti antiche e moderne, col supporto di FAI, Italia Nostra e con i professori della scuola Chindemi che in parte diventerà Casa dei Cittadini. Stiamo lavorando a farla diventare una guida da distribuire a cittadini e residenti e per organizzare altri eventi su questo tema. A partire dall’esperienza della Casa dei cittadini stiamo cercando a Siracusa di sperimentare il regolamento dei beni comuni in un’altra area periferica, Balza Gradina, dotato di un parco con un’area archeologica abbandonata.

Urbact ha quindi contribuito a rafforzare la consapevolezza della necessità di un’azione condivisa per la crescita urbana ma più in generale ciò che conseguenze ha avuto sulla regolare azione amministrativa e come sta contribuendo gradualmente a cambiare il modo in cui si governa e amministra la città a partire dalla collaborazione degli abitanti?

Senza dubbio l’amministrazione vuole continuare a usare il metodo Urbact ma ora bisogna decidere se e come applicare in maniera diffusa il metodo dell’open innovation , favorendo l’abbattimento delle barriere tra PA e cittadini e individuare sfide e soluzioni possibili in maniera condivisa, già all’interno dell’amministrazione per realizzare forme di sviluppo collaborativo. Vanno abbattuti tali ostacoli, come spesso accade nelle amministrazioni del sud, per portare avanti dei progetti integrati. Già si è incominciato con degli incontri tra gli assessorati e i capiservizio delle diverse aree del comune per incominciare ad aprire la struttura a questo cambiamento. Bisogna ora scegliere assieme la nuova sfida su cui concentrarsi per continuare nell’applicazione del metodo. Si sta lanciando una nuova forma di relazione tra cittadini e amministrazione in un quartiere particolarmente negletto e abbandonato, soprattutto a partire da una zona che è passata da un abbandono totale all’impatto continuo e costante di tali progetti. Senza dubbio alla Mazzarrona si è registrato un impatto maggiore rispetto ad altre realtà ma ciò non esclude che sarà sempre più tutta la città a beneficiare dell’eredità di Urbact.

Quali nuovi percorsi di partecipazione e collaborazione tra la cittadinanza possono essere avviati in Sicilia a partire da questa iniziativa?

Sta partendo il percorso di Siracusa come città educativa, come risultato del’adesione alla carta delle città attive su questo tema e stiamo realizzando eventi per la scrittura condivisa di questa carta. L’approccio partecipato sperimentato a partire da Genius Open ci ha consentito di stabilire rapporti nuovi e coinvolgere nuovi soggetti all’interno di questo percorso che si sta focalizzando su partecipazione e beni comuni, welfare e ambiente. Sia Catania che l’area del Simeto hanno manifestato interesse a replicare questa esperienza in altre zone della Sicilia. Nel corso della tre giorni di convegno “Città ed emozione” con cantautori e docenti di filosofia e architettura si è raccontato dell’esperienza Genious Open. La cosa particolarmente significativa è che l’invito sia partito da Carlo Colloca che ha lavorato con il team di Renzo piano per la riqualificazione di Librino,attraverso un confronto costante con il team G124 di Renzo Piano in un contesto analogo. Si costruisce così un filo rosso tra periferie per il rilancio delle zone in passato più abbandonate dalle amministrazioni locali. In questo quartiere si sta ragionando sul Pon Metro nell’ambito della città metropolitana di Catania e ci si interroga collettivamente sul futuro di questa zona di 90mila abitanti. Attorno al Fiume Simeto è nato invece un movimento che ha portato alla scrittura di un Patto di Fiume, a cui hanno aderito 10 comuni diversi e selezionati come Area interna sperimentale. Ciò ha portato al coinvolgimento delle istituzioni e all’inserimento di tale zona tra quelle selezionate tra le due aree nazionali individuate dal POR Aree interne. All’interno delle loro attività abbiamo raccontato il progetto Genus Open e anche lì c’è forte interesse a replicare tale metodo su scala intercomunale, favorendo la partecipazione e il coinvolgimento degli abitanti nelle diverse fasi di programmazione degli interventi.

Riga ha anche favorito l’incontro tra amministratori locali capaci di individuare nel programma elementi di innovazione forti per l’intero territorio, anche sul fronte della metodologia di leadership esercitata sul piano locale. Tra questi il sindaco di Furio Honsell, che ha presentato l’esperienza di Healthy Ageing ritenuta fra le più innovative in Italia e in Europa in termini di sostegno all’invecchiamento attivo. Uno sforzo collettivo di un’intera amministrazione ma con una forte impronta da parte della parte politica, che ha messo il tema della qualità della vita per gli anziani al centro di diversi aspetti della sua azione amministrativa. Un’esperienza che fa il paio con quanto realizzato da Udine nell’ambito di Roma-net, nel corso del quale il metodo Urbact ha contribuito allo sviluppo partecipato di metodologie di intervento per la riduzione della marginalità sociale di questa particolare fascia della popolazione residente.

In che modo è iniziato l’impegno di Udine con Urbact e in che modo si è specificatamente sviluppato sul tema dell’invecchiamento attivo?

Quando sono stato eletto sindaco ho iniziato a studiare con attenzione quali fossero le principali sfide di Udine. Una di queste era senza dubbio l’invecchiamento della popolazione, che ho misurato accuratamente evidenziando una serie di dati che sono stati alla base della nostra azione. Uno su quattro dei nostri cittadini ha più di 65 anni e il nostro indice di vecchiaia indica che ogni cento residenti al di sotto dei 14 anni ne abbiamo 240 che ne hanno più di 65. La nostra popolazione è di circa 100mila abitanti e l’aspettativa di vita è particolarmente alta, il che è particolarmente positive, ma non l’aspettativa di vita in salute. Abbiamo cercato di mettere assieme tutte le opportunità esistenti con l’obiettivo di aiutare la nostra popolazione a migliorare l’aspettativa di vita sana, dove per sana non si intende senza alcuna malattia ma di reale benessere.Un altro aspetto particolarmente rilevante su cui ci siamo concentrati in maniera particolare riguarda la creazione di legami intergenerazionali, un tema che assume un significato particolare se si considera che per la prima volta nella storia del genere umano convivono quattro o cinque diverse generazioni allo stesso tempo assieme. Quando a volte le scolaresche vengono a trovarmi in municipio mi diverto a domandare loro in quanti hanno ancora I bisnonni e le manic he si alzano sono sempre di più. Ciò significa che non abbiamo solo senior in città ma anche bisnonni che hanno un ruolo sociale particolarmente importante nelle nostre società Per questo bisogna dar vita ad una serie di attività che ne favoriscano l’invecchiamento attivo e la cittadinanza attiva. È ciò che abbiamo fatto a Udine ad ogni livello, promuovendo ad esempio l’attività fisica, le passeggiate di gruppo il fitness dolce ma anche il benessere mentale.

Come mai si è scelto di concentrarsi proprio su questo tema in questo specifico momento?

A causa della crisi economica sempre più anziani vivono in isolamento o soffrono di depressione. Circa 10mila anziani vivono da soli e questo rappresenta un fattore di cui tenere conto. Con Healthy Ageing abbiamo realizzato un quadro di riferimento per molte iniziative da realizzare attraverso i nostri centri di comunità. Tra questi, ad esempio ci siamo concentrati sulla prevenzione delle demenza attraverso una serie di attività di stimolazione cognitiva, come programmi per il mantenimento della memoria o il racconto di storie oppure i giochi enigmistici, fino ai puzzle o alla musicoterapia. Ciò contribuisce anche a migliorare il controllo delle proprie emozioni, particolarmente importante in un momento di recessione e crisi economica che comporta anche cambiamenti significativi negli stili di vita. Riteniamo però che la nostra azione su questo tema non sia benefica solo per gli anziani ma per tutta la comunità, in quanto può rivelarsi anche positiva per la creazione di opportunità economiche per i più giovani. Abbiamo infatti incentivato la creazione di imprese e startup attive in questo settore, ad esempio capaci di produrre dispositivi in grado di ridurre le cadute e prevenirle negli ambienti domestici.Se si indica questa tra le priorità d’azione di una comunità allora è chiaro che ciò implica la definizione di nuove abilità, come quelle di allenamento al fitness o altro. Ciò ha anche attirato l’attenzione di grandi imprese attive nel settore.

L’impegno sull’invecchiamento attivo segue quello avviato da Udine su altre forme di esclusione sociale, come quella nei confronti dei rom. Perché avete scelto di utilizzare Urbact come programma e metodologia più indicata per affrontare questo tema?

A Udine abbiamo numerosi insediamenti illegali e i rom rappresentano senza dubbio la comunità più svantaggiata presente nel territorio urbano. Uno dei problemi principali è legato alla scarsa autostima e alle poche ambizioni che gli appartenenti a questa stessa comunità nutrono verso sé stessi e verso la comunità. Molti dei cittadini dal resto chiedono solo una loro deportazione e la distruzione degli insediamenti illegali ma ciò è impossibile perché si creerebbero nuovi ghetti sul territorio. La nostra idea che abbiamo perseguito con il progetto Roma-Net era quella di accompagnare attraverso il Piano d’azione locale alcune di queste famiglie verso percorsi di integrazione in housing sociale e case di comunità, senza quindi ricreare ghetti o forme di esclusione. Il punto sta proprio nel non distruggere questa cultura ma motivarli verso una maggiore autostima, che è qualcosa di possibile solo attraverso un loro costante coinvolgimento. Non è facile ma bisogna spingere questa minoranza a giocare un ruolo più attivo all’interno della società. Anche se non siamo riusciti a chiudere tutti gli insediamenti informali, abbiamo sensibilmente ridotto il numero delle persone che vivevano lì e il benessere generale della comunità è migliorato, anche se nessuno ha fruito di incentivi economici per questo. Abbiamo cercato di creare una nuova cultura all’interno della comunità

In che modo altre città possono fruire dei risultati dell’esperienza di Udine attraverso Urbact?

Credo che tutte queste azioni partano da una chiara consapevolezza dei fenomeni presenti nel contesto locale e di come si declinano in una dinamica locale. La geomappatura del settore della salute, nel quale sono presenti molti dati e non solo la loro media ha spinto attraverso la disaggregazione dei dati a comprendere davvero in che parti di città si concentrano le diseguaglianze. Questo rappresenta un punto di partenza decisivo per misurare la città attraverso i suoi dati e distribuire geograficamente i dati per capire dove nascono le diseguaglianze e come intervenire. La crisi ha aumentato la forbice tra i quartieri e tra le persone: tocca ai comuni intervenire per ricostruire quella fabbrica sociale che è alla base dei nostri contesti urbani.

 

 

Simone d’Antonio