Stili e comportamenti di mobilità dei cittadini italiani

alt Il sistema della mobilità dei cittadini, dei turisti, dei pendolari che vivono, visitano o passano attraverso le nostre città è da diversi anni in fase di trasformazione con implicazioni riguardo alla cornice normativa e istituzionale di governo del settore e si riflette in misura considerevole sul bisogno di informazioni e di dati i cui contenuti devono riallinearsi alle direttrici di sviluppo del sistema stesso. Fino a pochi anni fa  si è guardato al settore del trasporto urbano pubblico delle persone con un approccio sbilanciato sul fronte dell’offerta e della regolazione, dove nella logica dominante dell’offerta il ruolo del passeggero (quindi della domanda) è rimasto marginale. Chi sale sul treno o su un autobus è visto come utente di un servizio pubblico con pochi strumenti di rivalsa a fronte di una non sempre coincidente qualità dell’offerta e con uno scarso peso economico.
Questo scenario è cambiato negli ultimi anni soprattutto per la crisi del trasporto pubblico che ha visto rapidamente ridurre la propria quota di utenza sempre più orientata verso i mezzi di trasporto individuali (auto in primo luogo). Un’accellerazione positiva, per certi aspetti virtuosa, è in atto da qualche tempo, in particolare in alcuni segmenti del settore. Una parte delle aziende del trasporto pubblico sta recuperando efficienza, alcuni settori del mercato si aprono alla concorrenza e all’ingresso di soggetti privati.

Il nuovo Rapporto di Isfort “Stili e comportamenti di mobilità degli italiani”, presentato il 16 aprile, è composto da tre sezioni: la prima dedicata all’analisi della struttura e delle dinamiche della domanda di trasporto pubblico; la seconda sezione contiene elaborazione e analisi relative ai dati individuali, quindi agli stili e ai comportamenti di mobilità degli intervistati, dalla frequenza d’uso dei mezzi di trasporto agli indici di soddisfazione per le modalità utilizzate; la terza sezione contiene alcuni approfondimenti dedicati all’analisi degli obiettivi prioritari per le politiche di mobilità sostenibile alla luce delle percezioni e delle valutazioni degli intervistati. Il Rapporto è completato, infine, da un allegato cartografico con i principali indicatori di mobilità di Audimob su base regionale.

Secondo la ricerca il numero dei passeggeri per chilometro nei dieci anni di riferimento 2000-2009, segna un aumento del +17,8%, allo stesso  tempo esso mette in luce un’evoluzione temporale non lineare scomponibile in diversi periodi: il primo essenzialmente restrittivo; il secondo decisamente espansivo; il terzo non ancora configurabile come un vero e proprio periodo, ma sembra essere una sorta di “sentinella” di avvio di un nuovo ciclo di declino della domanda. Il primo periodo al quale Isfort si riferisce è rappresentato dagli anni 2000-2004 che ha visto la domanda di mobilità verso il punto minimo da quando sono state avviate le rilevazioni dell’Osservatorio, passando da oltre 1,2 miliardi di passeggeri per chilometro (all’interno di un giorno feriale tipo), a poco più di 912 milioni (-25%). A partire dal 2004 si è sviluppato quello già definito come secondo periodo, dove i consumi di mobilità conoscono una decisa crescita e in soli 4 anni, il numero di passeggeri per chilometro supera l’1,5 miliardi (anno 2008), marcando  in termini percentuali un incremento pari al +71%. Infine il 2009 sembra tracciare un nuovo sentiero di declino della domanda, infatti, nel confronto 2008-2009, si registra una contrazione pari all’8,2% che in termini assoluti significa -128 milioni di passeggeri per chilometro in un giorno feriale medio.

Il capitolo relativo alle motivazioni degli spostamenti costituisce storicamente uno degli ambiti più rilevanti di studio dei comportamenti di mobilità. È forse anche il settore più penalizzato da una certa visione monotematica della domanda di trasporto focalizzata esclusivamente sui comportamenti strutturali e sistematici,  ben rappresentati dal segmento del pendolarismo. Una semplificazione, quest’ultima, che ha anche prodotto alcune distorsioni, da un lato nella rappresentazione statistica dei fenomeni (il Censimento Istat della popolazione, ad esempio, registra alcune informazioni relativamente ai soli spostamenti per lavoro o studio) e dall’altro nelle politiche di settore, in gran parte orientate a rispondere ai bisogni della mobilità sistematica di media e lunga percorrenza. L’Isfort sottolinea che gli spostamenti per ragioni di lavoro o di studio rappresentano solo una parte significativa, ma non maggioritaria della domanda di mobilità. Il primo dato messo in evidenza a questo riguardo è relativo al peso degli spostamenti di “ritorno a casa”, pari nel 2009 al 44% del totale; un valore in tendenziale diminuzione (46,5% nel 2000, 47,4% nel 2005) proprio per effetto di una graduale rottura del modello di mobilità “casa-destinazione-rientro a casa” e dell’emergere contestuale di una quota di tragitti di tipo “triangolare” (casa-destinazione-altra destinazione-rientro a casa). L’altro dato da sottolineare nella lunga lista delle motivazioni di mobilità è la forte frammentazione delle risposte: la sede abituale di lavoro (il luogo classico di destinazione del pendolare) ha attratto nel 2009 solo il 15% degli spostamenti, valore in contrazione sia dal 2000 (17%), che dal 2005 (18,2%). Un ulteriore centro relativamente incidente di aggregazione delle motivazioni di mobilità è rappresentato dai luoghi per la spesa quotidiana (9,5% in crescita dal 2000). Tutte le altre destinazioni a cui si associa una specifica ragione dello spostamento sono molto frammentate con valori di norma inferiori al 3% del totale. La ripartizione modale degli spostamenti si modifica in base ai contesti territoriali di riferimento, guardando sia alla tradizionale suddivisione in macrocircoscrizioni, sia in base alla dimensione dei centri urbani di residenza. Rispetto alla geografia del Paese, i dati del 2009 segnalano marcate differenze nella distribuzione degli spostamenti per tutte le modalità considerate: le regioni del Nord-Ovest, in cui il peso demografico delle grandi aree metropolitane (Milano, Torino e Genova) è molto forte, mostrano il profilo più virtuoso nella scelta delle soluzioni di trasporto in termini di sostenibilità. Il peso della mobilità non motorizzata, pari al 23,3%, è la più alta tra tutte le circoscrizioni. Lo stesso vale per la quota del trasporto pubblico attestata al 12,7% (la media è del 9,2%), mentre per converso lo share dell’automobile, comunque ampiamente il più alto con il 60,3%, si stabilizza sotto i valori delle altre aree. Rispetto ai primi anni del decennio, nelle regioni nordoccidentali italiane, la quota modale di trasporto pubblico si è leggermente consolidata, mentre la mobilità non motorizzata ha subito una flessione, seppure inferiore, a quanto registrato nel resto del Paese.

Fonte: www.isfort.it