Il senso dell’architettura che si esprime nelle città di oggi e di domani

altIl Capital Gate di Abu Dhabi è l’edificio più pendente del mondo, con un’inclinazione di 18 gradi, quasi quattro volte superiore all’inclinazione della Torre di Pisa e per questo motivo è entrato nel Guinness World Record.

I solai del Capital Gate sono sovrapposti verticalmente fino al 12° piano. In cima vi è quindi un graduale sfalsamento da 30 a 140 centimetri, che dà luogo alla sorprendente inclinazione della struttura. L’edificio possiede anche caratteristiche tecniche-costruttive innovative tra cui il primo utilizzo noto al mondo di un “nucleo pre-incurvato”, che contiene più di 15.000 mc di cemento armato rinforzato con 10.000 tonnellate di acciaio. Il nucleo costruito un po’ fuori centro nella direzione opposta a quella dell’edificio è stato raddrizzato con l’aumentare dell’altezza della costruzione e quindi posizionato in verticale con il variare del centro di gravità e con l’aumento di peso dei piani aggiunti. La struttura esterna è costituita da un fortissimo eso-scheletro chiamato “the diagrid” una maglia diagonale di acciaio che porta tutto il peso dei piani ed evita l’ingombro interno di pilastri o travi. Questa maglia è fissata a 490 pilastri la cui fondazione raggiunge i 30 metri di profondità. Ben 12.500 pannelli di vetro chiudono le 720 aperture, tutte diverse tra loro per inclinazione e curvatura. Al 19° piano del Capital Gate si trova la piscina esterna e non si fatica ad immaginare quanto sia spettacolare la vista panoramica. Altri grattacieli, che come in questo caso hanno utilizzato la tecnologia del “diagrid” sono la Hearst Tower a New York e lo Swiss Re Building, la Gherkin a Londra (entrambi di Norman Foster) e la nuova sede della China Central Television.

Il 6 giugno ha preso il via la prima edizione della Festa dell’Architettura di Roma, un evento importante che ha voluto raccogliere le riflessioni sulla città proposte sia da esperti, sia dalla comunità culturale e civile attraverso il confronto con le altre metropoli.

Perché:  “Senza stabilità l’architettura è pericolosa ed effimera; senza utilità l’architettura fine a se stessa è semplicemente una scultura in larga scala; senza bellezza si parla solo di edilizia”. Ruskin, Le Corbusier, Pevsner 

Cos’è allora una città?
“La città è una stupenda emozione dell’uomo. La città non è un fatto virtuale, è un fatto fisico perché è piena di umanità. La città è un continuo divenire. Quando ho dovuto ristrutturare il vecchio porto di Genova – dice Renzo Piano –  uno dei problemi da affrontare è stato quello del rapporto con la città vecchia, cioè tra una struttura flessibile fatta di gru e di navi che arrivano e partono da tutto e per tutto il mondo. Non si fabbrica un pezzo di città in cinque anni (ed è questo il problema che abbiamo dovuto affrontare per Postdamer Platz), è come fare un bambino in nove settimane, invece che in nove mesi. Ci sono dei passaggi fisiologici ineliminabili. Una città è per definizione “lenta”, cresce omeopaticamente non chirurgicamente, ha dei tempi fisiologici lunghi. Una città non è disegnata, semplicemente si fa da sola. Basta ascoltarla, perché la città è il riflesso di tante storie. La città è fatta di case, di strade, di piazze, di giardini che sono lo specchio della realtà, ed ognuno di essi racconta una storia”.

Certo, la città non è fatta solo di capolavori.
“La città è fatta ‘anche’ di capolavori. Ma soprattutto è fatta da un tessuto che rispetta e rispecchia ognuna di quelle storie sempre diverse l’una dall’altra. Se tu cammini per le strade di Firenze, o di Siena, per i carruggi di Genova, i vicoli di Napoli o i campielli di Venezia ti imbatti continuamente in un capolavoro, ma è il tessuto di quelle città ad essere straordinariamente vivo e anche gioioso. Italo Calvino ha scritto pagine bellissime nel libro ‘Le città invisibili’, ma nella sua altrettanto bella prefazione ha scritto una cosa davvero importante e cioè, che anche nelle città infelici c’è sempre un angolo felice, che ti piace. Ed è quello che più importa”. “Pablo Neruda ha detto che il poeta quello che ha da dire, lo dice in poesia perché non ha un altro modo di spiegarlo. Io faccio l’architetto – conclude Piano –  la morale non la predico: la disegno e la costruisco”.

La responsabilità dell’architetto, Renzo Piano, Passigli editore, 2000
Fonte: www.archiportale.com