EUniverCities, a Lecce città e università contribuiscono al rilancio urbano

Trasformare le università da luoghi di cultura ad attivatori di sviluppo urbano è il grande salto che numerosi contesti urbani di medie dimensioni stanno compiendo in tutta Europa. Da città con l’università a città universitaria: un cambiamento non solo terminologico ma che incide radicalmente sulla qualità di vita del contesto urbano, oltre che su numerosi aspetti vitali come la mobilità, le politiche abitative, l’offerta culturale, il posizionamento strategico su scala internazionale. Lecce ha scelto di concentrare la sua azione di confronto internazionale proprio su questi temi, nell’ambito del network Urbact EUniverCities, guidato da Delft con l’obiettivo di affrontare le diverse declinazioni del rapporto tra città e università.

 

Dal rapporto con il contesto economico locale e regionale alla creazione di nuova occupazione, dal miglioramento della vita studentesca alla creazione di reti internazionali capaci di far crescere allo stesso tempo l’università e il contesto urbano in cui è inserita e in cui può testare soluzioni e conoscenze acquisite dagli studenti. Le esperienze delle città partner del progetto sono servite nel corso dei mesi da ispirazione all’amministrazione di Lecce, che ha già da tempo intrapreso un percorso di valorizzazione del patrimonio universitario come elemento di crescita collettiva.

Lecce Urbact HPPassata nel giro di quindici anni da 30mila a 20mila studenti ospitati, Lecce ha dovuto far fronte all’impatto della crisi economica sul settore universitario creando nuovi spazi e servizi in favore dei giovani del territorio e non solo. La promozione della mobilità pulita e la riqualificazione del patrimonio abitativo, attivando anche strategie per l’emersione del sommerso, sono state tra le azioni più visibili di una strategia che ha puntato particolarmente sulle facoltà tecnologiche e sul suo impatto urbano per qualificare la presenza dell’università nel contesto urbano.
L’assessore alle politiche giovanili Alessandro Delli Noci traccia un quadro di come sta evolvendo il rapporto tra città e università e come può contribuire ad affrontare le sfide future di sviluppo e posizionamento strategico del territorio

Perché la presenza di una università sul territorio può ancora costituire un elemento di crescita per il territorio e quali sono le nuove sfide che porta con sé, soprattutto in relazione ai processi di innovazione?
Non siamo una città metropolitana ma un territorio finis terrae, che non può essere considerato unicamente per il numero di abitanti residenti solo a Lecce ma per quello dell’intero Salento. Abbiamo una serie di eccellenze che hanno relazioni internazionali e progetti di ricerca richiesti in varie parti del mondo. Per questo, come territorio, abbiamo bisogno di costruire un dialogo strutturato con l’università e dobbiamo trasformare la nostra città in un laboratorio a cielo aperto che ci consenta di essere attrattivi e competitivi anche sul piano economico. Questo può sicuramente contribuire ad attirare nuove aziende ad investire da noi proprio perché ci sono delle competenze giuste
Lecce ha fatto tanto negli ultimi anni per armonizzare la presenza delle facoltà universitarie nel contesto urbano ma quali sono gli aspetti che restano da migliorare?
I servizi sono migliorati tantissimo ma bisogna realizzare la terza missione dell’università, ovvero creare un connubio importante tra università e territorio per attirare investimenti e creare posti di lavoro. Allo stesso tempo bisogna spiegare anche ai giovani che il mondo è cambiato e che non bisogna puntare solo all’assunzione ma anche allo sviluppo della creatività e di nuove imprese. Bisogna quindi aiutare i giovani a creare nuove aziende a partire dalla formazione, inserendo il tema della creazione di impresa in tutti i percorsi di studio affinché si crei una molteplicità di cellule innovative che portino il Salento ad essere competitivo con il resto del paese.

Quale contributo vi attendete dagli studenti residenti a Lecce per la crescita del contesto urbano?
Ci aspettiamo che questo rapporto tra università e istituzioni locali sia spinto proprio dagli studenti, perché altrimenti rimane una semplice collaborazione istituzionale. Se è invece il territorio, dal basso, a volere questo connubio allora saranno gli studenti stessi a dettare la linea, a spiegare cosa vogliono nel piano di sviluppo della città visto che c’è la piena disponibilità sia dell’amministrazione comunale che dell’università a rimettere in discussione tutto.

E come si inserisce la partecipazione al network Urbact in questo?
EUniverCities offre l’occasione unica di realizzare un piano d’azione locale concertato che faccia emergere suggerimenti e criticità capaci di creare nuove progettualità per risolvere davvero i problemi esistenti. Spero che questo progetto sia anche un modo per costruire un dialogo strutturato. Alcuni docenti universitari hanno scritto una mezza verità in un testo, riguardante il rapporto tra città e università, intitolato “separati in casa”: senza dubbio era una provocazione ma anche un’analisi di fatto. Formalmente sappiamo che nella realtà non è così ma forse può essere uno sprone per ricominciare a migliorare.

Mentre Lecce ha scelto di focalizzarsi sulla creazione di nuova occupazione e servizi per gli studenti, altre città di EUniverCities hanno condiviso le proprie esperienze innovative in materia di creazione di alloggi per gli studenti, come Aalborg o di supporto all’autoimprendiotrialità come chiave per rilanciare la propria immagine di principale città universitaria del paese, come nel caso di Tampere.
Il confronto incrociato fra strategie e azioni adottate nel proprio Piano d’azione locale attraverso il metodo del Peer review rappresenta uno degli elementi distintivi di EUniverCities, i cui partner nel corso dell’incontro di Lecce hanno esaminato punto per punto le azioni programmate dalla città salentina evidenziandone punti di forza e debolezza.

Patrick Van Geel, senior advisor agli affari europei della Città di Delft e Willem Van Winden, lead expert del network raccontano come le esperienze realizzate in Olanda e nel resto d’Europa possano ispirare l’avvio di un nuovo rapporto tra città e università anche a Lecce.

In che modo è possibile davvero rendere gli studenti e l’università parte del brand urbano di Lecce?
Lecce urbact incontroVan Winden: Credo sia necessario avere una visione chiara di cosa renda unica Lecce e di favorire un forte dialogo tra università, città e organizzazioni di studenti per definire assieme qual è il messaggio da mandare all’esterno su Lecce. Non saprei esattamente quale potrebbe essere nello specifico ma più in generale è necessario avere qualcosa che renda la città speciale rispetto alle altre perché ci sono davvero tante città che hanno l’università e gli studenti. Solo attraverso un confronto costante è possibile comprendere cosa davvero renda particolare questa città e individuare traiettorie di sviluppo comuni, per la città e per il contesto universitario.

Qual è invece l’elemento che ha reso Delft unica e differente rispetto alle altre città universitarie?
Van Geel: L’aspetto particolare di Delft è quello di avere un partito degli studenti presente nel consiglio comunale e nella giunta della città. Questo rappresenta certamente un elemento di unicità: coinvolgere gli studenti a livello politico e nei processi decisionali ma anche essere molto vicini alla popolazione studentesca, favorendone la partecipazione in tutti gli aspetti di sviluppo dei progetti e nelle procedure di decision making. Non credo esistano altre città con una situazione simile, almeno non tra quelle del nostro network.

Decisivo è anche il ruolo delle comunità locali per rendere la città più inclusiva e capace di rendere il mondo della conoscenza un driver della crescita locale: quali strategie vanno adottate per favorire un reale coinvolgimento su questo?
Van Geel: A Delft ci siamo concentrati soprattutto sugli stakeholder principali come il personale delle università, gli studenti, le organizzazioni studentesche, gli incubatori di sviluppo gestiti dagli studenti, gli spin off nati da essi, le cooperative che forniscono servizi di alloggio per gli studenti. Non abbiamo coinvolto particolarmente i cittadini in questa fase ma abbiamo comunicato loro i risultati di quanto realizzato al termine delle attività attraverso la stampa locale o le stazioni radio cittadine.

Qual è il futuro delle città universitarie? Cosa devono fare per essere maggiormente riconoscibili sul piano regionale, nazionale e locale?
Van Winden: Devono essere più strategiche e proattive, pensare di più a come rendere fruibile anche dal resto della cittadinanza quanto si realizza in collaborazione gli studenti. Attorno alle università ruotano studenti, ricercatori e professori che potrebbero contribuire alla crescita urbana visto che conoscono bene di cosa ha bisogno la città in termini di mobilità, assistenza sanitaria o cura agli anziani. Nelle città emergono una serie di temi interessanti su cui gli studenti possono lavorare sia per la loro tesi che anche per il prosieguo della loro carriera. Ci sono grandi sfide che attendono le università che vogliono connettersi di più ai problemi delle città e renderle dei living lab. Ciò però non avviene automaticamente ma va organizzato.

In che modo?
Van Winden: Non bisogna avere dei piani di studio rigidi in cui sono solo i professori a decidere ma ci deve essere più dialogo e moduli aperti come in Finlandia, dove gli studenti possono utilizzare una parte dei propri crediti universitari per fare ricerca in favore di imprese locali o dell’ospedale cittadino, in sintesi per qualcosa che abbia un valore per la comunità locale. L’università dovrebbe rendere più facile tutto questo ed essere meno rigida sul fronte dei piani di studio ma allo stesso tempo le imprese locali dovrebbero essere più aperte nei confronti delle università e comprendere quanto possano beneficiare dell’azione degli studenti. Quando i ragazzi si impegnano in questo modo apprendono molto di più perché comprendono come funziona la società in maniera più pratica che solo studiandola sui libri.

La città diventa quindi volano di crescita per le imprese dai giovani formati sul territorio, come le spin off nate nel campus Ecotekne e proiettate verso collaborazioni internazionali con grandi player come Alenia e Avio, ma anche terreno ideale per testare tali innovazioni.
Lecce labE’ il caso di www.cercoalloggio.com, un’app che facilita la ricerca di alloggi per gli studenti, ma anche del car sharing elettrico di Zemove, che punta ad introdurre nuove modalità di trasporto sostenibile in città. Più articolato e ambizioso è invece il percorso che unisce il Salento alla Silicon Valley in nome dell’innovazione sociale, proprio a partire dall’azione di un gruppo di giovani “tecnologi sociali” riuniti nel Puglia Smart Lab con l’obiettivo di identificare e co-creare servizi nell’ambito della strategia locale sulla smart city.
A poche ore dalla partenza per San Francisco, Valentina Biondi racconta in che modo il dialogo tra amministrazione locale e saperi presenti sul territorio potrà trasferire a Lecce alcune tra le migliori esperienze internazionali di collaborazione civico.

In che modo nasce l’esperienza di Puglia Smart Lab?
Nasciamo come progetto di formazione e ricerca Puglia@Service, progetto coorindato dal distretto tecnologico Elvitech fondato grazie al MIUR nell’ambito dei progetti PON-Rec 2007-2013. All’interno di Puglia@Aservice è stato creato il nostro living lab che rappresenta uno spazio di innovazione in cui stakeholder locali, pubblica amministrazione, imprese e cittadini cooperano per creare insieme servizi e soluzioni tecnologiche per rispondere a dei bisogni emersi a livello locale. Attraverso questa struttura svolgiamo delle sessioni di living lab soprattutto sul territorio di Lecce, che ci ha dato un appoggio importante per poter realizzare delle sperimentazioni

Quindi avete realizzato in concreto quel legame tra università e territorio, rendendola elemento di crescita della città nel momento in cui si mette a disposizione per risolvere i problemi della città
Esatto. La particolarità è che dal percorso di formazione, fatto non solo di lezioni frontali ma anche di testimonianze e contributi di esperti che ci hanno raccontato le loro esperienze, siamo poi passati ad attivare dei processi di innovazione sul territorio.

Da qui è partita un’azione di incontro con le persone e di attivazione di interventi in quartieri specifici, concentrandosi su quali temi?
La metodologia del living lab è quella della co-creazione ma esistono anche metodologie differenti come il living lab adattativo, nel quale si vanno a mappare i bisogni della zona presa in esame e costruire assieme agli stakeholder delle soluzioni. Ci siamo concentrati su dei focus specifici come turismo, patrimonio culturale, mobilità attraverso dei rilevamenti effettuati in strada anche intervistando i turisti che visitano la città.

Quali bisogni avete intercettato attraverso questo tipo di lavoro?
E’ emerso che il turista spende molto tempo prima della partenza a trovare delle informazioni sul luogo che va a visitare. Da qui siamo riusciti ad estrapolare il bisogno e creare una soluzione tecnologica su cui stiamo lavorando, ovvero un’app che consente al turista di georeferenziarsi una volta sul posto e, a seconda dei suoi interessi, ricevere indicazioni stradali e notifiche integrate a sorgenti di informazione.
In poche parole, la vostra esperienza sta cambiando in pratica il modo in cui la città si relaziona al mondo della conoscenza e del sapere prodotto a livello locale
Si sta passando da un modello di cooperazione public-private partnership un modello people-private partnership dove l’utente non è più un mero fruitore di servizi e diventa uno stakeholder attivo nel processo di innovazione.

Quali sono invece le esperienze e le pratiche che cercherete di portare sul territorio dalla Silicon Valley?
Abbiamo la necessità di dare continuità a questo progetto e per questo già prima della fine del percorso abbiamo costituto in questi giorni la startup Be Mind, con l’obiettivo di dare continuità a questi progetti. Partiamo per la Silicon Valley per un mese e staremo noi quindici nella Bay Area e collaboreremo con le pubbliche amministrazioni locali per cercare così poi di replicare sul nostro territorio i loro metodi di civic engagement.
A partire da questo è possibile anche favorire una collaborazione nuova da parte dell’università stessa? Non sempre infatti il comune riesce a trovare in tutti i pezzi dell’università la capacità di integrarsi con il territorio circostante
Per noi sarebbe molto importante che cambiasse questo paradigma universitario. Secondo la mia esperienza personale, il percorso di alta formazione che stiamo seguendo è stato tutt’altro rispetto all’università. Andare in questa direzione sarebbe fondamentale per favorire negli studenti quell’approccio all’autoimprenditorialità

Il percorso che sta portando Lecce a diventare una città universitaria in grado di competere con altre realtà italiane e internazionali simili passa quindi attraverso un insieme di azioni strategiche materiali e immateriali: dal rafforzamento delle competenze alla riqualificazione degli spazi dove si produce e diffonde cultura.
La rigenerazione delle Officine Cantelmo in incubatore di impresa e acceleratore di competenze rappresenta uno dei punti principali del Piano d’azione locale che Lecce sta completando grazie anche al coinvolgimento di ricercatori, start upper e altri possibili fruitori di un centro unico nel suo genere.

Mettere gli studenti, i loro luoghi di vita e i servizi ad essi dedicati al centro delle strategie di rilancio urbano è la strada intrapresa da Lecce per migliorare la qualità urbana per tutte le tipologie di residenti: un percorso lungo che avvicina la città all’Europa e non solo ma soprattutto contribuisce al posizionamento strategico di questo epicentro di cultura e innovazione.

Qui puoi trovare lo Storify del Peer Review Meeting internazionale di Lecce: https://storify.com/Cittalia/eunivercities-a-lecce-citta-e-universita-contribui

Simone d’Antonio

@simonedantonio