Welfare locale, crisi e innovazione

Come possono gli enti locali continuare a garantire i servizi sociali ai cittadini se la crisi ne aumenta i bisogni? Come possono fare innovazione nonostante i tagli alla spesa pubblica? Difficile rispondere nelle condizioni attuali. I tagli ai finanziamenti pubblici e il parallelo aumento delle richieste di aiuto, effetto della crisi economica, potrebbero far saltare l’intero sistema sociale locale. In particolare il rischio che si corre è quello di ritrovarsi con un welfare “che vive alla giornata” e, di conseguenza, ridotto all’assistenzialismo.

La difficoltà di programmare, dovuta all’incertezza economica e politica, può infatti compromettere l’avvio di quei processi di innovazione che presuppongono invece stabilità e capacità di valutazione sul lungo periodo. Proprio oggi, dove sarebbe cruciale una riforma profonda del welfare state.

Nonostante questo scenario preoccupante, molti Comuni anziché indietreggiare hanno intrapreso percorsi di rinnovamento e di rigenerazione. Da una parte ripensando l’oggetto dell’azione pubblica, concentrando gli interventi sulla tutela dei rischi derivanti dalla crisi – quindi sul lavoro e sulle nuove povertà – nel tentativo di mantenere buoni livelli di equilibrio sociale e benessere delle comunità; dall’altra le modalità di tale azione, ricercando nuove forme di governance e collaborazione con tutti gli attori sociali (welfare communities, partnership, co-funding, progettazione partecipata sono solo alcuni esempi).

Parliamo di progetti che rientrano nell’ambito del secondo welfare, dove l’ente locale diventa, da unico – o quasi – produttore di servizi, promotore di reti che mettono in relazione tutti gli attori sociali locali, da quelli pubblici a quelli privati, dai cittadini al Terzo Settore, consapevole del fatto che gran parte delle risorse disponibili – sia finanziarie che umane – non sono più gestite dal Comune direttamente, ma sono frammentate, eterogenee e in evoluzione. Un modello dove l’ente locale comunque non sparisce, anzi mantiene alcune funzioni cruciali, come quella di garantire l’universalità dei servizi, intervenendo là dove “la rete” non arriva.

Si tratta di sperimentazioni piuttosto recenti e non esenti da sfide – in primis come garantire queste esperienze nel tempo, evitare la frammentazione, dare consistenza alla partecipazione del Terzo Settore -, ma il fatto stesso che siano in atto riflessioni e tentativi di cambiamento ha una valenza enorme. Così come in natura la specie che sopravvive è quella che meglio si adatta ai cambiamenti, il welfare locale se vuole sopravvivere ma soprattutto essere efficace, deve riconoscere il nuovo contesto socio-economico e modellarsi su esso, con il coraggio di rompere quegli schemi che oggi non funzionano più.

In questo senso, il welfare locale ha un vantaggio rispetto a quello centrale. Gli amministratori locali infatti, grazie alla profonda conoscenza del proprio territorio – sia in termini di problemi che di risorse per farvi fronte -, possono perseguire soluzioni più mirate e quindi efficaci. Inoltre, le politiche place based possono contare sulla facoltà di mobilitare gli attori locali, condizione fondamentale per la sostenibilità – soprattutto in fase di implementazione – degli interventi. Spetta ai Comuni, quindi, decidere se cogliere questa sfida e provare a lavorare “in modalità 2.0” o rassegnarsi alle poche risorse rimaste a disposizione.

Per maggiori approfondimenti su queste esperienze innovative di welfare locale, si rimanda al sito www.secondowelfare.it