Un’agenda europea per l’innovazione sociale: i giovani di Torino e le città di My generation at work protagoniste del dibattito europeo grazie ad Urbact

Quali sono gli elementi-chiave per un’agenda europea dell’innovazione sociale? Torino e le altre città partner di My Generation at work hanno scelto di affidare la risposta a questa domanda ai ragazzi delle scuole torinesi, nell’ambito di un percorso che sta favorendo l’incontro tra le scuole del territorio e alcuni fra i più brillanti esempi di innovazione sociale in Italia e in Europa.

 

Ispirare i ragazzi del territorio alla creazione di impresa innovativa a partire da idee semplici e strategie già adottate in altri parti d’Italia e d’Europa rappresenta l’originale modalità di interazione col territorio scelta da Torino Social Innovation per condividere con gli innovatori del futuro quelli che sono alcuni dei più significativi elementi del dibattito in corso a livello urbano in Europa.
Le città come luoghi ideali per testare le nuove innovazione ma anche luoghi di vita in cui si sviluppano gli effetti positivi della collaborazione tra pubblico e privato, in termini di creazione di nuova occupazione e miglioramento dei sistemi di welfare in favore di chi cerca (e crea) lavoro ma anche di altre categorie svantaggiate. L’esperienza torinese FaciliTo di sostegno integrale all’imprenditorialità giovanile rappresenta un esempio interessante di come l’amministrazione locale può concretamente sostenere lo sviluppo di nuove forme di imprenditorialità giovanile.

Il fondatore di Naboombo Daniele Pozzo è uno dei beneficiari di questo innovative programma di sostegno.
Come nasce l’idea di Naboomboo?
L’idea è nata a fine 2012. Dall’idea l’abbiamo trasformata in un business plan e da lì siamo stati “incubati” nell’incubatore digitale del Politecnico di Torino. Siamo poi arrivati tra i dieci progetti finalisti della Star Cup e abbiamo presentato domanda alla Regione Piemonte che grazie ai fondi europei ha dato un primo contributo a fondo perduto per far partire il progetto
In che modo funziona la vostra piattaforma?
E’ dedicata all’apprendimento delle lingue e chi si iscrive mette a disposizione la propria lingua nativa e troverà sulla piattaforma altre persone straniere che fanno la stessa cosa. Con un meccanismo simile a quello della banca del tempo ci si scambia conoscenze linguistiche: quando insegni italiano a qualcun altro accumuli minuti e puoi spendere questi minuti sulla piattaforma quando vuoi allenare un’altra lingua.
A presto il finanziamento in sè, che legame c’è tra questa idea e il territorio in cui si sviluppa?
E’ stato un legame duplice. In primo luogo con il Politecnico di Torino dove siamo stati incubati ma anche con il progetto Torino Social Innovation tramite FaciliTO che ci ha permesso di accedere a un finanziamento approvato dalla commissione del programma
La partecipazione a questa iniziativa di sostegno pubblico alle startup rappresenta uno dei modelli di eccellenza in Italia. Secondo lei, questo modello come può essere ancora di più migliorato dal basso?
Secondo me la Regione e in generale il territorio ha fatto un grande lavoro nel nostro caso, mettendoci a disposizione sia un canale di finanziamento che un contributo a fondo perduto. Abbiamo avuto gli elementi per partire e un supporto alla realizzazione del business plan grazie al Politecnico. Quello che si può fare in più è fare network a livello internazionale.
Cioè?
La nostra piattaforma punta a portare a bordo tante persone straniere. My generation at Work coinvolge oggi più di dieci città che rappresentano oltre sette milioni di abitanti. Far sì che la città di Torino interagisca al meglio con le altre città mettendo a disposizione la community di persone che vivono nelle altre città europee è il più bel regalo che possono fare ad una startup come Naboomboo.

Sviluppare tale sostegno attraverso luoghi simbolo della rinascita creativa della città come il Cowroking Toolbox, è senza dubbio un elemento di crescita per l’intero territorio, soprattutto se tali innovazioni partono da un reale coinvolgimento di tutti i livelli della macchina comunale.
Punta a fare scuola in Europa il modello di innovazione condivisa realizzato da InnovaTo, competizione lanciata tra i dipendenti del Comune di Torino per valorizzare processi e idee innovative emerse dal dialogo tra i funzionari dell’amministrazione stessa.
Realizzare innovazione in maniera orizzontale è l’obiettivo che ha animato non solo questa competizione ma anche le altre iniziative proposte nel corso dell’incontro con i ragazzi delle scuole, al termine del quale sono emersi gli elementi distintivi di un’agenda europea per l’innovazione sociale urbana, discussa dai partner e presentata in webstream a livello europeo.

Promuovere la creazione di spazi pubblici condivisi per fare innovazione, rafforzare la cooperazione pubblico-privata, migliorare le forme di supporto all’imprenditoria giovanile a partire dal rapporto tra università e mondo del lavoro sono alcuni degli elementi suggeriti da ragazzi del territorio e innovatori europei, che hanno approfondito temi come il finanziamento creativo delle startup attraverso sistemi di crowdfunding e il miglioramento dei processi di decision making sui temi dell’innovazione.

Le esperienze europee raccontate nel corso dell’incontro hanno costituito fonte di ispirazione anche per le città europee partecipanti al meeting, spesso co-creatrici di tali forme di innovazione che, come nel caso di Rotterdam, coinvolgono diverse tipologie di attori locali e nazionali, come raccontato da Tjalling De Vries della città di Rotterdam.

Come funzionano i social impact bond e in che modo sono stati adottati a Rotterdam?
I social impact bond funzionano coinvolgendo sullo stesso piano quattro partner: il partner principale è l’imprenditore sociale che ha un business plan per un’attività in campo sociale che ha l’obiettivo di manifestare i suoi effetti sulla società e per questo attrarre un investimento pubblico. Il secondo partner è un investitore privato, che stabilisce un contratto con l’imprenditore sociale fornendogli il budget iniziale per iniziare a fare impresa. Allo stesso tempo stabilisce un contratto con il governo locale nel quale si specifica che quest’ultimo restituirà all’investitore quanto prestato all’innovatore sociale se questi realizzerà l’obiettivo sociale stabilito nel contratto iniziale. A questo aggiungerà anche un piccolo bonus di interesse, in modo da rendere ancora più vantaggioso il supporto nei confronti del giovane imprenditore: se infatti la sua idea non avrà successo anche l’investitore privato perde i suoi soldi mentre se ha successo l’investitore riceve un guadagno in più
Che impatto sta avendo questa iniziativa a livello urbano e nel panorama degli innovatori sociali di Rotterdam?
In Olanda abbiamo lanciato i social impact bond a marzo di quest’anno come possibile soluzione al problema della disoccupazione giovanile e fino ad ora abbiamo sostanzialmente messo in connessione gli imprenditori sociali con i programmi di supporto per l’inserimento professionale dei giovani. Ragazzi di Rotterdam tra i 17 e i 26 anni senza lavoro e beneficiari di attività di welfare da parte del governo locale sono stati il nostro focus principale. Il programma ha avuto effetti positivi sulla società: ne ha favorito la loro occupabilità e la partecipazione a questo programma ha consentito di ridurre il tasso di disoccupazione in questo target. Ciò ha consentito di realizzare dei risparmi per il sistema pubblico di welfare e un considerevole recupero dell’investimento oltre a ripagare quanto prestato dagli investitori privati.
Con questo sistema avete quindi dato vita ad un nuovo modello economico che coinvolge diverse tipologie di partner
Sì, abbiamo messo il rischio sul mercato così da rendere possibile agli imprenditori sociali di venir fuori con delle idee. Anche in Olanda come dovunque in Europa le risorse economiche si sono ridotte sensibilmente rispetto al passato ma finché si riesce a dimostrare che queste iniziative riescono a realizzare un risparmio significativo per le casse della città, si riesce a finanziarle senza ulteriore budget ma soltanto con quanto effettivamente la città riesce a risparmiare da altri interventi.
Quanti progetti sono stati finanziati in questo momento?
Al momento ce n’è uno già attivo e altri due pronti a partire nel 2015. Riguardano il contrasto alla disoccupazione giovanile e in età adulta, un target particolarmente sensibile da affrontare perché già al centro di azioni finanziate dalla città ma molto interessante se si combinano diverse forme di finanziamento.
Ad esempio?
Il governo nazionale ha ad esempio un budget specifico per il reinserimento lavorativo di coloro che escono dal carcere ed è giusto avviare progetti locali finanziando in maniera congiunta i social impact bond in favore di questo gruppo particolarmente svantaggiato. Guardiamo alle famiglie che hanno numerosi problemi, come debiti, sfratti o allontanamento forzato dei minori, visto che sono quelle che costano di più allo Stato e alla società in termini di welfare. Si può riuscire ad aiutare queste famiglie anche con interventi singoli realizzati da imprenditori sociali capaci con un piano specifico di dimostrare in questo modo l’impatto sociale della propria azione. Abbiamo creato una rete di investitori interessati su questo tema perché ha un risvolto concreto nell’aiutare la società e nell’assicurare un ritorno all’investimento.
Non è la prima volta che Rotterdam è parte di un progetto Urbact, visto che è stata protagonista anche della prima edizione di My Generation at Work. In che modo questo progetto di social impact bond può essere inserito nella strategia generale delle politiche sociali della città e come può essere utilizzato come biglietto da vistia internazionale della città?
Gli esperimenti in riforme di governance prendono spesso piede in città di medie dimensioni come Rotterdam e Torino perché sono grandi abbastanza da avere risorse e persone per fare davvero la differenza. In Europa ci sono altre città nella stessa situazione, ovvero con governi nazionali che hanno meccanismi burocratici particolarmente complessi e la necessità di rispondere invece in maniera rapida a quanto avviene sul territorio. Le città invece possono muoversi più rapidamente. A Rotterdam la nostra politica è di cogliere queste opportunità e testare tali strumenti in maniera innovativa. Tante città stanno provando esperimenti simili e se si combinano le conoscenze che abbiamo acquisito in Europa possiamo costruire una rete molto forte.
Il confronto fra i modelli europei sta alla base del lavoro di finalizzazione dei Piani d’azione locale che le singole città stanno realizzando in questi mesi e che ultimeranno entro i primi mesi del 2015. Esperienze come quella raccontata da Maria Ruokonen di Less Miserable rappresentano non solo un’utile fonte di ispirazione ma anche dimostrazione concreta che nel variegato panorama europeo dell’innovazione sociale i giovani sono elementi decisivo per far ripartire le città dal rapporto tra lavoro, mondo della conoscenza e luoghi di vita.

Che tipo di modello avete messo in piedi a Tampere per favorire l’innovazione sociale?
E’ basato sull’apprendimento in gruppo ovvero con degli studenti che mettono in piedi un’impresa collettiva all’interno dell’università. Quando si laureano o conseguono un MBA nel campo dell’innovazione o della sanità o di qualunque altra cosa possono realizzare un’impresa basata sul learning by doing, con clienti e soldi veri. Possono iniziare un progetto imprenditoriale di qualunque tipo ed hanno il compito di apprendere abilità di vendita e di rapporto con il pubblico.
Quante imprese sono state avviate con questo sistema?
Nei quindici anni di operatività del programma sono state avviate 27 team company, per una media di due all’anno.
In che modo ciò è connesso ad altri sistemi di innovazione sociale già operativi in Finlandia?
C’è un progetto simile di team academy in corso da circa vent’anni a Jyväskylä. Ci sono alcune differenze rispetto ai tradizionali sistemi di incubatori di start-up poiché i team lavorano sempre assieme e apprendono reciprocamente a condividere e creare nuove conoscenze. Molto importante anche l’aspetto di apprendimento personale perché non si hanno insegnanti ma coach che supportano gli studenti e i team durante tutto il processo di studio. Non c’è solo il fatto di essere imprenditori ma anche parte di un processo di apprendimento personale e collettivo.
Che impatto sta avendo questo progetto a livello urbano?
Sta contribuendo a creare nuovi imprenditori e nuova occupazione nel contesto urbano L’università e la città diventano quindi più attrattive con un focus dedicato proprio all’imprenditoria capace di attrarre nuove persone in tali contesti. Le imprese nella regione sanno di poter contare sugli studenti per lanciare nuovi progetti creativi grazie a questa formula e sono sempre più interessati a stabilire nuove forme di cooperazione
Quali sono gli elementi principali che emergono dalla vostra esperienza che possono essere tradotti in una strategia europea di innovazione sociale?
Penso che la cosa più importante sia quella di non separare l’università dalla vita lavorativa. In questo modello questi due modelli si combinano assieme e gli studenti studiano e lavorano allo stesso tempo accumulando crediti e un’esperienza lavorativa, che è la cosa più importante che l’università può lasciargli perché così non sforna ragazzi senza un’esperienza ma persone già dotate di una rete lavorativa utile per il futuro.

Simone d’Antonio
@simonedantonio