Da Reggio Emilia all’Europa, con Urbact un nuovo slancio al rapporto tra stazioni e città

Luogo d’incontro, luoghi di passaggio ma anche simbolo dell’identità urbane: le grandi stazioni rappresentano sempre più un elemento distintivo delle città ed elemento attorno a cui strutturare strategie di crescita, in particolare per le città di medie dimensioni.

La conferenza finale di Enter Hub a Reggio Emilia, città capofila del network, ha costituito un momento di confronto europeo alla presenza di esperti, funzionari e amministratori pubblici che hanno discusso sul ruolo delle stazioni di alta velocità come elemento di crescita sui grandi corridoi di trasporto europeo.

 

La diffusione sempre più ampia dell’alta velocità ha spinto numerose città a programmare le proprie strategie di sviluppo a partire da snodi ferroviari che diventano sempre più piazze, centri di comunità, luoghi da restituire agli abitanti. Non sempre però il modo in cui sono concepite e collegate al contesto cittadino aiutano a restituirgli quel ruolo centrale nella vita delle comunità che hanno tradizionalmente ricoperto per decenni in tanti paesi fra cui l’Italia.

Una stazione, seppur bellissima, ma poco funzionale per le persone è inutile: ne è convinto l’antropologo Franco La Cecla, che rimarca la centralità delle stazioni come biglietto dai visita delle città di cui rappresentano la porta di ingesso e non solo un necessario luogo di passaggio.

In che modo gli hub di trasporto contribuiscono a orientare la nostra esperienza urbana quotidiana?

Dipenda da come sono fatti. Ci sono hub che probabilmente sono più friendly di altri: in alcuni casi sono solo luoghi monumentali da cui si desidera scappare appena ci si arriva mentre in altri invece è più piacevole aspettare. Credo che proprio il giudizio di chi aspetta in una stazione sarebbe interessante da tenere in considerazione. È la piacevolezza dell’attesa che determina la vivibilità di questi posti.

ReggioEmilia resizedHa richiamato il concetto di stazione come piazza, luogo di incontro indefinibile ma legato alla nostra tradizione urbana: perché in Italia solo adesso si sta rigenerando le stazioni in questo senso?

Nella tradizione italiana le stazioni sono state concepite come dei luoghi centrali delle città. Oggi il vero problema è che le stazioni cercano di imitare gli aeroporti, perdendo quel carattere interessante che le faceva appartenere alla parte storica delle città. Hanno l’ambizione di essere dei luoghi ipermoderni. Siamo nella fase di passaggio in cui si sta recuperando una forma più umana di questi posti ma il rischio grosso è che essendo affidate agli architetti rimangano dei posti puramente monumentali in cui la gente non si identifica.

In “Contro l’architettura” lei ha infatti sostenuto che le archistar non sempre riescono a realizzare luoghi capaci di migliorare le città ma producono spazi monumentali che mancano di vita. Questa tesi come si applica al caso delle stazioni, realizzate anche da nomi famosi come Calatrava a Reggio Emilia?

Il problema grosso di queste stazioni è che hanno una grande visibilità e puntano a diventare l’icona della città. Quando non ci riescono rimangono delle imitazioni di posti visti altrove e il vero problema è che resta forte poi il tema della vivibilità delle stazioni. Devono essere posti possibilmente piacevoli in cui anche la persona che arriva di passaggio pensa a quanto sarebbe bello fermarsi un po’ di più. È un po’ imbarazzante pensare che le stazioni fatte negli anni Venti rimangano ancora le più belle, come anche nel caso di Milano. Il vero problema è che c’è una qualità degli spazi delle stazioni che molto spesso è dato dal fatto che debbano accoppiare una forma di domesticità alla monumentalità. Le persone devono sentirsi accolte nelle stazioni.

Come fare a farle riaffezionare a questi posti e come possono le persone stesse contribuire a migliorarle?

Possono contribuire dando giudizi sulle azioni di rinnovamento. La stazione di Milano è un caso tipico: la gente ha ricominciato a prendere le scale perché le rampe sono un’idea balzana degli architetti che non hanno mai preso un treno. Questo dimostra che c’è pochissima esperienza da parte dei progettisti e che se la stazione fosse stata disegnata dagli utenti sarebbe stata di certo più funzionale.

Come mai una piazza o un quartiere riescono ad essere al centro di azioni di coprogettazione mentre le stazioni no?

Perché le stazioni sono dei grandes ensembles, parte della grandeur delle città. Oggi è molto come progettare un monumento e la differenza rispetto al passato è che le Ferrovie dello Stato avevano in precedenza un senso molto forte del servizio e non solo della monumentalità. C’è una storia dietro che sedimenta quanto veniva fatto, mentre se c’è un progettista che costruisce una stazione una volta sola nella vita può combinare guai.

Dai processi partecipativi di Orebro e Ulm alle modalità di collegamento tra stazioni e contesti urbani di Reggio Emilia, Breda e Avignone, Enter.hub ha focalizzato l’attenzione di urbanisti, funzionari e amministratori locali sulle varie dimensioni del legame tra città e infrastrutture di trasporto: uno dei principali campi in cui si gioca la sfida della vivibilità dei contesti urbani, secondo l’architetto e urbanista francese Jacques Ferrier.

In che modo le infrastrutture di trasporto in Francia e nel resto del mondo stanno costituendo un fattore di crescita e riqualificazione urbana?

Credo che è fondamentale di associare sempre la possibilità di spostarsi all’idea di migliorare il contesto urbano non solo sul piano economico ma anche sociale. Constato che in Francia alcuni progetti di linee a grande velocità sono oggi molto contestato da movimenti ecologisti estremi. Questo è un errore perché una società che non si muove è una società che si ripiega su sé stessa. Le città sono il luogo della mobilità sociale, della formazione, della creazione di cultura e non solo della produzione di ricchezza. Non possiamo associare la città alla sola economia: quando parliamo di legami tra una buona rete di trasporti e lo sviluppo urbano ci riferiamo ad una crescita della creatività e globale nella capacità di intendere il proprio ruolo di cittadino.

Quale ruolo le stazioni giocano in tutto questo?

Le stazioni sono estremamente importanti. L’abbiamo visto nel dibattito di Reggio Emialia. C’è il rischio che le stazioni si banalizzino e diventino uno spazio assai controllato come può essere un centro commerciale. Spesso si riscontrano delle similitudini molto forti fra una stazione e l’altra per l’utilizzo di vetro, ferro e acciaio, in sintesi di un’architettura spettacolare simile a quella degli aeroporto. Proprio questi ultimi sono dei luoghi chiusi per definizione, posti fuori dalle città mentre le stazioni sono luoghi aperti che vanno rimesse in condivisione con le città come spazi pubblici comuni. Credo che i luoghi in cui arrivano i treni e si incrociano bus, metro e tram sono posti in cui ci sono tutte le opportunità di rendere questo luoghi di incontro degli spazi di continuità, dove ci si può anche semplicemente recare per assistere al piacere di una città in movimento. Bisogna riconciliare gli abitanti di medie e grandi città con il principio secondo cui vivere in città rappresenta un vero piacere e non ci si vive solo per lavorare.

In che modo è possibile convincere i cittadini ad avere un ruolo attivo in questo?

Questa è la vera grossa questione. Credo che la grande sfida delle città e delle loro stazioni nel XXI secolo sarà la capacità di integrare nel loro funzionamento un ruolo attivo degli utilizzatori e dei residenti che l’attraversano. Questa è la vera sfida perché la tecnicità dei palazzi e lo stile di architettura internazionale ha in qualche modo spossessato gli abitanti di queste grandi strutture. Sono un po’ come dei piccoli topi da laboratorio che si muovono da parte all’altra. La tecnologia sta diventando più flessibile e personalizzata e può paradossalmente rendere le città più sensuali in termini di esperienze, suono, luci, materiali che permettano alle persone di essere più interattive con ciò che lo circonda.

In che modo ciò si ricollega proprio al concetto di ville sensuelle che ha elaborato in questi anni?

E’ davvero l’idea di una città umanista. Rimettere l’uomo al centro della città e costruire contesti urbani per l’uomo sono obiettivi completamente dimenticati dalla complessità dei processi di costruzione di questi anni. Il concetto di ville sensuelle che ho portato avanti nei progetti delle stazioni della Grand Paris punta proprio a rimettere l’uomo al centro di questi posti di congestione urbana, di tecnicità ma anche un vero e proprio trattato di questa filosofia.

Trasformare le stazioni in luoghi di vita e animazione culturale è quello che Reggio Emilia ha realizzato in occasione della conferenza finale di Enter Hub, con l’apertura dello spazio Expo nella stazione Mediopadana che fornirà durante l’evento ai viaggiatori diretti all’Expo informazioni sulle attrazioni culturali e gastronomiche della città. Un concerto dei giovani studenti del conservatorio e un pianoforte a coda a disposizione di visitatori e passanti hanno arricchito una giornata che ha messo in pratica quanto emerso dal network Urbact: rendere le stazioni dei luoghi piacevoli di collegamento col territorio, in cui si armonizzino tutte le specificità dell’area di cui costituisce porta d’accesso. Delle iniziative messe in campo in questi mesi a Reggio Emilia ne parla il sindaco Luca Vecchi.

In che modo lo spazio Expo inserito nella stazione può contribuire a rappresentare un nuovo momento di socialità per il contesto urbano?

Questo è un nodo ferroviario in cui la gente parte e arriva con grande velocità. La nostra sfida è anche quella di far atterrare qui nuove funzioni per caratterizzare questo spazio come luogo di incontri e di relazioni. Il fatto che qui ci sia un info point che dà informazioni sulla città e su cosa accadrà nei prossimi sei mesi sul nostro territorio è una grande opportunità di promozione territoriale. Aver portato la musica in stazione è la dimostrazione che questo luogo può essere un paradigma di una forte valorizzazione del nostro territorio e del suo dinamismo.

Come si sta sviluppando il rapporto tra la città e le sue stazioni?

Certamente questa stazione ha cambiato il volto di questa città e l’ha riposizionata su scala vasta. Questo luogo ha aumentato il tasso di competitività territoriale di Reggio Emilia, aumentando il livello di attenzione sul contesto urbano e la sua forza di attrazione di persone, risorse e investimenti. È un fattore di sviluppo territoriale ed economico.

A livello europeo questo come può aiutarvi a posizionarvi ancora di più?

Se immaginiamo una grande carta dell’Europa si individua facilmente che nella parte meridionale dell’Europa e nella parte più ricca dell’Italia c’è una città di 170mila abitanti che ha una dotazione infrastrutturale di assoluta eccellenza in grado di collegarla con i principali centri urbani del continente ma ha anche altro: ha vette d’eccellenza sulla meccatronica, sui servizi educativi, sulle istituzioni culturali e i servizi alle persone. Nella nostra capacità di far rete c’è la volontà di svilupparla sul piano internazionale attirando ulteriore interesse nei nostri confronti grazie anche ai trasporti sostenibili.

Simone d’Antonio