Lavoratori migranti, studio Cittalia e Fondazione Di Vittorio: rafforzare il quadro normativo per contrastare lo sfruttamento in agricoltura

L’organizzazione produttiva del lavoro agricolo e il frammentario quadro normativo di riferimento, sia a livello nazionale che europeo, tendono ad incidere fortemente sul fenomeno dello sfruttamento dei lavoratori immigrati sempre più spesso correlato anche a forme di tratta degli esseri umani. Questi alcuni dei punti messi in chiaro nell’indagine “Lo sfruttamento (grave) dei lavoratori stranieri in agricoltura: un’analisi comparata” condotta da Cittalia e dalla Fondazione Giuseppe Di Vittorio, in collaborazione con i partner spagnoli e rumeni, nell’ambito del progetto europeo Agree (Agricoltural job rights to end foreign workers exploitation) giunto a conclusione con la conferenza che si è svolta a Roma il 14 dicembre.

Italia, Spagna e Romania sono i tre ambiti di riferimento dell’analisi comparativa realizzata rispettivamente nelle aree dell’Agro pontino (in provincia di Latina), di Maresme e di Montsià e Baix Ebre (Barcellona) e nelle zone rurali della Romania con l’obiettivo di tracciare non solo un quadro di sintesi su similitudini e differenze, con particolare riguardo all’applicazione della normativa europea in materia (Direttiva 52 del 2009), ma anche di definire delle proposte di policy volte al contrasto dello sfruttamento del lavoro nei campi.

L’organizzazione del sistema agricolo locale
Lo sfruttamento del lavoro migrante nei campi risulta strettamente connesso con l’organizzazione produttiva locale: a seconda che l’attività agricola si basi su metodi intensivi di produzione, che impiega lavoratori in tutto l’arco dell’anno, o a seconda si tratti di attività legate ad una produzione stagionale che impiega i lavoratori solo in determinati periodi dell’anno. Ad incidere sulle condizioni e sulla struttura organizzativa del lavoro anche la tipologia delle aziende agricole e le loro dimensioni. E’ la struttura della conduzione familiare delle aziende agricole a prevalere tanto nel nostro paese quanto in Spagna e in Romania. Le micro imprese sono quelle maggiormente presenti sui territori in esame e nelle quali il fenomeno dello sfruttamento lavorativo dei migranti risulta essere più diffuso: le aziende piccole, dove i ricavi sono più bassi, sopravvivono alla concorrenza comprimendo i costi del lavoro rispetto alle grandi imprese meno propense ad incorrere nel rischio di sanzioni amministrative.
Il fenomeno dello sfruttamento dei migranti nei campi è dunque legato alla debolezza del settore agricolo stesso sempre più condizionato da un sistema economico che impone il prezzo finale sui prodotti con la conseguente riduzione dei ricavi per i piccoli produttori. Si innesca così un meccanismo che porta a scaricare e a comprimere i costi sui lavoratori stessi, soprattutto stranieri, spesso in condizioni di maggiore vulnerabilità sociale ed economica.

Il nodo dell’intermediario della manodopera
Secondo i risultati dell’analisi comparativa, la concentrazione di lavoratori migranti nei campi delle tre aree prese in esame è determinata soprattutto dalla presenza di connazionali (familiari, amici o semplici contatti) già insediati in quei luoghi. Nel caso dell’Italia, nell’area dell’Agro Pontino esiste una rete composta da soggetti che fungono da “ponte” organizzando l’arrivo e la dislocazione dei migranti, soprattutto indiani punjabi, in aziende agricole. Il datore di lavoro paga direttamente l’intermediario per i suoi “compiti” di mediazione (anche linguistica), di formazione e “garanzia” del lavoro dei braccianti stessi. La figura italiana dei caporali o quella catalana del cap de colla, riveste ancora oggi un ruolo sociale ed economico decisivo rappresentando il nodo centrale del fenomeno. Come emerge dalle testimonianze dei braccianti intervistati, sempre più spesso si parla di un “mediatore” che fornisce lavoro e alloggio e a cui piccole imprese agricole ricorrono di frequente, complice anche la mancanza di un collocamento pubblico in agricoltura.

Le disfunzionalità legate al mercato del lavoro e una frammentaria normativa in materia non fanno altro che alimentare condizioni di illegalità del lavoro nei campi, rafforzando così la posizione dell’intermediario. Intercettando la domanda di lavoro e fornendo al lavoratore immigrato una serie di servizi essenziali, si crea un legame che rende il bracciante fortemente dipendente dal mediatore.
A ciò è da aggiungersi il fatto che il permesso di soggiorno ed il suo rinnovo è generalmente subordinato alla presenza di un contratto di lavoro, una situazione che spinge l’immigrato a restare illegalmente nel paese in caso di perdita del lavoro e dunque maggiormente esposto al rischio di condizioni di sfruttamento lavorativo.

 

Il quadro normativo nazionale ed europeo
Esistono tutele giuridiche a livello nazionale ed europeo per contrastare il fenomeno? La risposta è sì, anche se gli strumenti normativi nazionali a disposizione risultano essere ancora troppo “deboli” per contrastare efficacemente il fenomeno dello sfruttamento dei migranti nei campi. Il sistema normativo italiano risulta frammentario: se da un lato all’articolo 603 bis del codice penale viene sanzionata l’intermediazione illecita è altrettanto vero che non vengono previste particolari misure nei confronti del datore di lavoro che ricorre alla figura del “mediatore”. Inoltre nel nostro paese, come in Spagna e in Romania, è stata recepita solo in parte la direttiva europea 52 del 2009. In particolare, con il decreto legislativo 109 del 2012, con cui si apportano alcune modifiche al testo unico sull’Immigrazione, risulta essere ancora molto ristretta la stessa nozione di “sfruttamento lavorativo” adottata rispetto a quanto previsto a livello europeo.
Lo sforzo, dunque, è quello di guardare a policy efficaci che prevedano un effettivo percorso di inclusione dei migranti nel tessuto sociale promuovendo concrete misure di emersione da condizioni di sfruttamento lavorativo. Una strategia che deve andare di pari passo con la costruzione di un sistema unitario di norme a livello europeo e nazionale in grado di tutelare i diritti degli individui.

 

Scarica la Ricerca comparata qui

Pubblicato su Il Sole 24ore
Angela Gallo
Twitter: @AngelaGallo1